Può capitare di entrare negli spazi suggestivi dell’ex mattatoio di Roma, così fortemente impregnati ancora della loro recente storia e improvvisamente perdersi nel nulla. Non riconoscere più corpi, sagome, spazio, tempo. Rimanere in uno stato di sospensione non soltanto fisica ma anche psicologica, fino a che il panico non sferra il suo attacco costringendo a interrompere l’esperienza immersiva in Zee (questo il titolo dell’installazione) proposta da Kurt Hentschläger per la rassegna Digitalife alla Pelanda (fino al 27 novembre, a cura di Richard Castelli), che punta sull’interazione fra arte e le nuove tecnologie e arriva nella capitale ogni anno con Romaeuropa festival.

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L’edizione 2016 prevede anche una partnership con Maker Faire, unendo così i risultati delle diverse discipline al fermento dell’imprenditorialità individuale e collettiva.
Hentschläger, insieme a Ulf Langheinrich con il quale creò il duo Granular Synthesis, è stato uno sperimentatore instancabile degli sconfinamenti dell’elettronica, un alfiere e della visionarietà sprigionata da suoni, led e immagini scomposte. In questo caso, a far sparire il mondo e la sua tridimensionalità necessariamente agganciata alle leggi gravitazionali è la fittissima nebbia provocata dall’artista, cui si somma un gioco di luci intermittenti per disorientare vista, tatto, olfatto: nessun punto di riferimento se non una corda alla quale aggrapparsi come fosse la cima ultima della propria salvezza. Chi riuscirà a tuffarsi in quel grado zero sensoriale, che inghiotte lo spazio e il tempo, vivrà dieci minuti intensi di trasporto verso un «altrove» costellato di allucinazioni stroboscopiche. D’altronde, Zee affonda le radici nel teatro di Castellucci, un maestro raffinato dello spaesamento totale.

L’universo digitale, a dispetto di un immaginario cyber, sembra cercare invece la contaminazione con gli elementi naturali e dopo la nebbia, presenta una fiabesca performance dell’acqua. Il giapponese Shiro Takatani (fondatore di DumbType) ha realizzato una macchina computerizzata che disegna sculture con gocce continue, animandole nell’aria. A utilizzarla per Digitalife è Christian Partos con The Sorcerer’s Apprentice: gli spettatori, seduti tutti intorno su cuscini, nella penombra, osservano ipnotizzati lo scroscio di quella danza acquatica, in bilico tra il virtuale e il reale.

06_NONE_Deep Dream_ACT II_Digitalife_Romaeuropa Festival_photo credits Cristina Vatielli
Il collettivo italiano None introduce al protagonista invisibile di tutte le opere: il sogno. Deep Dream_Act II distribuisce frammenti di immaginario web interattivo. La macchina insegue una creatività onirica, che si autoproduce, bombardando l’utente (entrato dentro al cubo) con dati, immagini, decostruendo fino all’esplosione l’esperienza del suo presente.
Infine, una sezione della mostra celebra i venticinque anni di attività del laboratorio di robotica della scuola di sant’Anna di Pisa: a fare da Cicerone per l’intelligenza artificiale c’è l’umanoide Gomonoid HI-1.