Lavoravano nelle campagne marchigiane anche dieci ore al giorno, pagati un pugno di euro, talvolta lasciati addirittura per mesi senza stipendio. Sono settanta le vittime, tutte pakistane, della rete di caporali smontata ieri dai carabinieri di Montalto (Ascoli) con l’operazione “Arcipelago”, che ha portato alla denuncia di ventotto persone che procuravano manovalanza a basso costo a decine di aziende ortofrutticole delle province di Ascoli e Fermo. Mediamente, stima uno studio della Guardia di Finanza, la paga oraria dei braccianti sotto caporalato è di 3.80 euro all’ora contro i 9.48 euro previsti dal contratto nazionale, con varie maggiorazioni per gli straordinari, i festivi e i notturni. Talvolta, poi, al già magro onorario, i lavoratori vengono costretti a sottrarre circa 50 centesimi come cifra forfettaria per il riconoscimento delle spese sostenute dal caporale per il trasporto e l’intermediazione.

Le indagini dell’operazione “Arcipelago”, coordinate dalla sostituta procuratore di Ascoli Cinzia Piccioni – che in queste ore sta lavorando alla richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati – sono cominciate nel 2018, quando un uomo pakistano di 39 anni era riuscito a fuggire da un casolare di Carassai, in collina, all’interno del quale era costretto a vivere insieme ad altre quattordici persone, anche loro vittime di caporalato, in condizioni igieniche e sanitarie drammatiche. Da lì la denuncia e l’inizio delle attività investigative, che si sono basate non solo sulle intercettazioni telefoniche ma anche sulla raccolta di immagini fotografiche e video a testimoniare l’esistenza di un mercato di schiavi da sfruttare in campagna.

«Valuteremo di costituirci come parte civile al processo, – dice Daniele Lanni, segretario della Flai Cgil di Ascoli -, saremo al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori per garantire loro tutta l’assistenza necessaria a far valere i loro diritti». La Cgil chiede inoltre l’apertura di un confronto tra datori di lavoro, istituzioni e sindacati per la sigla di una “rete del lavoro agricolo di qualità”. «Non può essere questo il nostro modello agricolo – continua Lanni -, persone che lavorano più di quanto dovrebbero, pagati senza rispettare le condizioni del contratto provinciale, a cui talvolta vengono segnate la metà delle giornate lavorate. Ci sono situazioni di lavoro grigio diffuse ormai da tempo e che espongono l’intero settore a inflitrazioni e fenomeni gravissimi».

Non è solo l’ortofrutta il comparto agroalimentare in cui il caporalato è uno strumento usato sin troppo spesso: se a raccogliere la frutta la manodopera è per lo più pakistana, per quello che riguarda le vigne, gli investigatori sostengono che il grosso dello sfruttamento riguarda i lavoratori dell’Europa dell’est. Diverse testimonianze raccolte, infatti, parlano di un traffico che, partendo dalla Romania e dalla Bulgaria, durante la stagione primaverile fa tappa negli agrumeti della costa meridionale spagnola e poi arriva in Italia in tempo per la vendemmia, tra agosto e ottobre. Il reclutamento dei lavoratori sarebbe al passo coi tempi che corrono, con annunci su Facebook che promettono lavori pagati dignitosamente, salvo poi ritrovarsi in condizioni di assoluto sfruttamento.

Le inchieste sul caporalato sembrano destinate ad aumentare: fonti interne alla Cgil confermano che il numero di lavoratori disposti a denunciare i loro sfruttatori è in aumento lento ma costante. Di conseguenza, anche le indagini crescono d’intensità e a ogni operazione che scatta, sale il numero di imprenditori e caporali coinvolti.