Tra dati e numeri sviscerati ogni ora, mezze bufale, e un rincorrersi continuo di opinioni, l’emergenza sanitaria ha posto il giornalismo di fronte a una sovrapproduzione di notizie: da una pandemia è derivata un’infodemia. «Il termine – spiega Alberto Puliafito – è nato per identificare ciò che è successo in termini di copertura giornalistica, informativa e comunicativa in questo periodo». Alberto è il regista del documentario Slow News, ora al Glocal Film Festival di Torino, che da 20 anni seleziona il meglio della produzione cinematografica regionale, online fino al 15 marzo sulla piattaforma streeen.org

È stato l’unico film italiano selezionato in concorso alla 22esima edizione del prestigioso Thessaloniki Documentary Festival – dedicato al movimento dello «slow journalism», una modalità di informazione che privilegia la lentezza rispetto alla velocità, antepone il contenuto alla pubblicazione forsennata di notizie per acchiappare click e fugaci consensi sui social network. Un ambito che Puliafito, assieme ad Andrea Coccia, autore e protagonista del girato, ha conosciuto bene come fondatore di una piattaforma di blog e da cui ha deciso di allontanarsi per fermare e rallentare la sua visione di giornalismo. La concezione di una vita più lenta e di un rapporto più amorevole con il proprio tempo come antidoto alla frenesia attraversa già vari ambiti della vita, come raccontato da Carl Honorè nel saggio-inchiesta Elogio della lentezza (Bur, 2014): dallo sport, con il pilates, al sesso tantrico fino al cibo con il movimento slow food, eccellenza di origine italiana nella riscoperta del mangiare bene secondo la stagionalità dei prodotti in contrasto al fast food. «I concetti del manifesto del cibo lento come good, clean and fair– continua Puliafito – tornano anche nel documentario rapportati al giornalismo. Crediamo in una sorta di reazione, almeno iniziale, alla frustrazione per il livello spesso molto «basso» cui ci siamo abituati a causa delle contingenze, delle scelte, della struttura stessa dell’ecosistema dell’informazione e del modo in cui storicamente il giornalismo si concepisce».

Giornali, riviste
Uno dei principi del movimento, fondato nel 2014 da Peter Laufer, mette in primo piano i lettori, visti come azionisti e non solo come consumatori di un prodotto. Il viaggio del documentario, girato tra l’Europa e gli Stati Uniti, porta gli autori a incontrare i fondatori di The Correspondent, una testata che, ancora prima dell’uscita, è riuscita a convogliare circa 50mila abbonati attorno allo slogan unbreaking the news. L’analisi lenta dei fatti è prerogativa di Delayed Gratification, rivista trimestrale cartacea, nata a Londra nel 2011, che pubblica storie e approfondimenti relativi ai tre mesi precedenti all’uscita per prendersi il tempo necessario ad assimilare gli avvenimenti. Dalla Danimarca Zeitland offre un virtuoso esempio di comunità attorno a un giornale. Esperienze diverse accomunate dal desiderio di cambiamento che non coinvolge solo progetti indipendenti ma anche colossi come New York Times e BuzzFeed, il cui media-editor, Craig Silverman, è convito che «si possa essere virali in modo responsabile». Il rapporto distorto con i social, la ricerca dei like e della viralità, sono, infatti, tra i malanni del giornalismo accelerato: l’idea di fondo di Slow News è anche quella di invitare il pubblico a staccarsi dagli smartphone, ai ridurre il tempo speso sugli schermi sia a scorrere foto e profili sia a leggere continuamente news.

Rallentare
Il rischio per gli utenti, come da tempo sostengono esperti e psicologici, è quello di incorrere in ansia e depressione, i giornalisti, invece, di fronte all’eccesso di velocità, corrono il pericolo di farsi travolgere dalla trappole delle fake-news, evocate ironicamente nel doc dalla presenza di Ermes Maiolica, uno dei più noti bufalari.

«Quella raccontata in Slow News – proseguono gli autori – è una battaglia cruciale, ancora di più oggi che la pandemia globale sta mettendo a dura prova la società, l’economia e la politica a livello globale. In un mondo che si fa sempre più incerto, l’informazione libera e indipendente è il baluardo più importante per fermare l’ascesa dei populismi. Rallentare, in questo caso, non significa perdere di vista la realtà, al contrario, significa arrivare preparati alle sfide che ci imporranno i prossimi anni. Rallentare significa lottare per raccontare la complessità, il contesto, ma anche studiare, sviluppare tecniche e procedure per filtrare ciò che è informazione da ciò che non lo è. Perché garantire ai cittadini di tutto il mondo l’accesso a una informazione sana, libera, indipendente e verificata è il migliore antidoto contro la deriva autoritaria e populista a cui assistiamo in molte parti del mondo».

Alle testimonianze di esperienze di giornalisti impegnati nella salvaguardia della lentezza, il documentario abbina affascinanti campi lunghi su paesaggi naturalistici probabilmente con l’intento, anche qui, di rallentare la carrellata di spiegazioni e lasciare allo spettatore il tempo per fermarsi a riflettere. E sembra ce ne sia bisogno dopo un lockdown pieno di news frenetiche.