Sono più di tredicimila gli sloveni con infezione da Covid ancora attiva: la situazione, già grave, peggiora. Su due milioni di abitanti, quasi duemila nuovi contagi e diciannove morti solo venerdì e il trend continua a crescere. I dati nella piccola Repubblica confinante stanno diventando allarmanti e, dopo tentennamenti e mezze misure, il governo di destra del premier Janez Janša cerca di correre ai ripari con misure che sembrano anticipare un nuovo lockdown ormai imminente.

DA IERI CHIUSI bar, locali e ristoranti, centri commerciali, alberghi ma anche asili e ostelli per gli studenti. Al coprifuoco notturno si aggiunge la chiusura di qualsiasi negozio alla domenica, mentre il trasporto pubblico viene ridotto a un terzo della sua normale operatività.

Il premier Janša ha invitato i sindaci alla massima vigilanza confidando in loro ulteriori interventi secondo le necessità specifiche del territorio e ha ricordato ai datori di lavoro la necessità di fare estrema attenzione alle norme anticontagio ma anche di utilizzare il più possibile il lavoro da casa. Gli ospedali cominciano a essere in difficoltà: mancano posti letti e si stanno attrezzando spazi alternativi riconvertendo, per esempio, i padiglioni della Fiera a Lubiana. Le singole regioni slovene sono state via via dichiarate “zona rossa” con il conseguente divieto di circolare da una all’altra ma, ora che l’intera Slovenia è “zona rossa”, il governo sta pensando di impedire anche la circolazione tra i diversi comuni.

Da lunedì verrà chiuso anche il confine con l’Italia tranne per i lavoratori transfrontalieri (che sono migliaia). Sui valichi confinari si stanno allestendo le postazioni sanitarie di controllo già viste in primavera e, muniti di certificato che attesti la negatività al virus, si potrà soltanto attraversare la Slovenia per raggiungere gli Stati confinanti entro dodici ore.

PREOCCUPAZIONE a Trieste e nel goriziano perché i transiti oltreconfine sono continui e assolutamente abituali, per visitare amici e parenti, per cercare funghi nei boschi, per mangiare nelle Gostilne ma anche per i vantaggi economici che offre la vicina Repubblica: dalla benzina alle sigarette ancora a prezzi imparagonabili a quelli italiani.
Psicologicamente difficile per chi vive su un confine che non è abituato a “vedere”, ritrovarselo davanti con sbarre e posti di blocco: è come sentirsi privati di un pezzo di se, spaesati.

Perché vivere su questo confine vuol dire inevitabilmente scambiare continuamente servizi e opportunità, allacciare rapporti da una parte e dall’altra sentendosi in un luogo che appartiene a entrambi. La permeabilità di un territorio è fatta di piccole grandi cose a cui magari non si pensa ma che diventano problemi quando il confine viene ricostruito: quante famiglie hanno i genitori in Italia e i figli in Slovenia, quanti studenti vivono da una parte e studiano dall’altra o, per dire, quanti triestini, in questo periodo di sostituzione delle gomme, si rendono conto sconcertati di aver lasciato in deposito i propri pneumatici invernali presso il loro gommista di fiducia in Slovenia.

MA IL COVID STA facendo tabula rasa di molto, davvero molto e tutto condiziona, costi quel che costi. Anche in Slovenia sta mordendo con ferocia e il clima del Paese sta virando rapidamente verso la paura. D’altra parte, per niente ottimista, l’infettivologo Marko Pokorn ha rilasciato un’intervista al quotidiano Delo dove chiede misure più drastiche altrimenti «restiamo su una strada che ci porta dritti a Bergamo» mentre sembra che ci si avvicini sempre di più al tremendo dilemma di «chi curare e chi no» tanto che il dottor Dusan Keber, ex ministro della Salute, proprio su questo è intervenuto durante la Giornata mondiale della bioetica, sabato scorso, dedicata proprio a Covid-19: Ethical Challenges.