I ministri delle finanze dell’Unione europea, riuniti fino a oggi a Dublino (l’Irlanda ha la presidenza semestrale) hanno Cipro come menu principale, ma ormai tutti i pensieri vanno alla Slovenia, che rischia di essere il prossimo caso di grossa crisi. Il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Joroen Dijsselbloem, ha cercato di evitare polemiche, affermando all’apertura dei lavori: «La Slovenia non è all’ordine del giorno». Eppure, l’euro rischia di essere di nuovo nella tempesta a causa della Slovenia, che ha aderito alla moneta unica nel 2007. Lo scenario che si profila in Slovenia è purtroppo quello ormai solito: debito e deficit in crescita, spinti al rialzo dalla recessione in corso. All’origine, anche a Ljubljana c’è una crisi bancaria, eredità degli anni folli, quando la Slovenia era considerata una piccola Svizzera dei Balcani. Le proporzioni non sono, per fortuna, quelle di Cipro: nell’isola le banche pesavano quasi otto volte il pil, in Slovenia è solo il 130%. Ma le due più grosse banche, come a Cipro, sono in piena tempesta e rischiano il crollo. Per l’Italia in particolare è una bruttissima notizia, visto che le banche italiane (Intesa-San Paolo e Unicredit) hanno in Slovenia un’esposizione per 7,6 miliardi, seconda solo all’Austria (12,6 miliardi). I tassi di interesse sul debito estero stanno ormai sfiorando il 7% in Slovenia, che questa settimana è riuscita a collocare in buoni del tesoro solo la metà dei 100 milioni di euro previsti. La Slovenia ha dal 20 marzo un nuovo governo di centro-sinistra. La premier, Alenka Bratusek, non si fa illusioni: da Bruxelles i consigli sono sempre gli stessi, tagli al welfare, privatizzazioni, riforma al ribasso per mercato del lavoro e pensioni. Una ricetta amara per un paese che ha visto raddoppiare la disoccupazione dal 5 al 10% in meno di 5 anni.

A Dublino i ministri delle finanze sperano di poter chiudere il caso Cipro. È stato approvato il piano di aiuti di 10 miliardi, messo a punto il 25 marzo scorso. Adesso il testo verrà ratificato dai paesi della zona euro – in Germania sarà messo al voto al Bundestag la prossima settimana. Per ottenere la ratifica, in particolare a Berlino, è stato negato a Cipro un aumento dell’aiuto. Saranno 10 miliardi (9 da Ue e Bce, 1 dall’Fmi) e nulla di più. Il commissario agli affari economici, Olli Rehn, ha cercato di chiudere la polemica crescente affermando che «nulla è cambiato» e suggerendo ai giornalisti di «non addizionare pere e mele». Eppure Cipro aveva fatto trapelare, alla vigilia del Consiglio finanza, di aver bisogno di più soldi. Il costo del salvataggio di Cipro sarebbe passato da 17 miliardi a 23. Se non ci sarà un aumento di aiuti, il peso cadrà tutto sui ciprioti e sugli intestatari dei conti bancari. Il prelievo sui conti al di sopra dei 100mila euro potrebbe arrivare al 60%, secondo l’Fmi. La direttrice dell’Fmi, Christine Lagarde, ha rifiutato qualche settimana fa la richiesta del presidente cipriota, Nicos Anastasiades, di mettere un tetto del 30% per i prelievi. Quindi, per Cipro la ricetta si aggrava: più privatizzazioni, più tasse, e c’è persino la vendita delle riserve d’oro.

Il terremoto francese causato dalle dimissioni del ministro delle finanze, Jérôme Cahuzac, accusato di avere un conto all’estero, ha portato in primo piano la questione fiscale. Ma di evasione i 27 parleranno al prossimo vertice dei capi di stato e di governo. Intanto, continuano le pressioni per far cedere l’Austria: dopo l’alleggerimento del segreto bancario, accettato dal Lussemburgo, Vienna è invitata a fare altrettanto. Ma la ministra delle finanze, Maria Fekter, non a torto ha ricordato ieri che c’è in Europa un pesce ben più grosso dell’Austria per quanto riguarda le pratiche da paradiso fiscale: la Gran Bretagna, con la City e le isolette della Manica con bandiera britannica.