Sono scattati ieri i primi fermi per l’omicidio del giovane giornalista slovacco Ján Kuciak. A finire in cella sette chiacchierati imprenditori calabresi con presunti legami con la ’ndrangheta, attivi nella Slovacchia Orientale e appartenenti a tre famiglie imparentate tra loro: i Vadala, i Roda e i Catroppa. Le loro attività sono state al centro dell’ultima inchiesta di Ján Kuciak pubblicata postuma sul giornale online per il quale lavorava, Aktuality.

Facendo una ricerca basata soprattutto sulle fonti aperte, il giornalista aveva ricostruito una rete di aziende controllate dagli imprenditori calabresi attive soprattutto nei settori dell’agricoltura e delle energie fotovoltaiche, due settori con ampia disponibilità di sovvenzioni statali ed europee. Le attività del gruppo degli imprenditori non sarebbero sconosciute alla polizia slovacca: secondo la procura generale a carico delle società e delle persone fisiche citate nell’articolo sono stati aperti in passato ben 73 procedimenti. Diverse di queste aziende hanno contratto grossi debiti nei confronti del Fisco slovacco.

Il sospetto è che gli imprenditori siano collegati ai clan della ’ndrangheta, per conto dei quali hanno investito capitali criminali e compiuto truffe ai danni dello stato e dell’Europa. Al centro degli intrecci ricostruiti da Kuciak c’è Antonino Vadala, socio o amministratore di diverse società finite nell’inchiesta e che secondo i giornali slovacchi avrebbe affrontato diversi processi per associazione mafiosa, finendo sempre assolto. Tra le accuse anche quella di aver contribuito alla latitanza del potente boss Checco Zindato.

IL GRUPPO DI IMPRENDITORI capeggiato da Vadala ha avuto rapporti con i politici regionali del partito del premier Robert Fico, lo Smer-Sd (Direzione-socialdemocrazia), e addirittura delle entrature nello staff del governo grazie alla segretaria del primo ministro, Maria Trošková, e al segretario del Consiglio di Sicurezza Viliam Jasan, che prima di assumere incarichi di governo avevano, entrami, attività imprenditoriali in comune con i Vadala. I due si sono sospesi dai loro incarichi fino alla fine delle indagini.

 

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NEGLI ULTIMI GIORNI i giornali slovacchi hanno battuto molto sulla pista calabrese convinti che il duplice omicidio (Kuciak è stato ucciso insieme alla fidanzata nella sua abitazione) porti una firma mafiosa. I rapporti tra i loschi imprenditori e il sottobosco governativo hanno inoltre fornito alla stampa locale l’occasione per attaccare il premier Fico accusato di tollerare la corruzione nella politica e nella pubblica amministrazione. Dal articolo di Kuciak, e da altre inchieste, emerge infatti che i calabresi si sono inseriti nell’ambiente affaristico vicino alla politica, che cerca di orientare gli appalti e la manna dei fondi europei. Nulla di particolarmente eclatante se non fosse ci fosse di mezzo la ‘ndrangheta.

SULL’IPOTESI ‘ndranghetista cominciano però a emergere voci critiche. «Molti giornalisti slovacchi si sono fatti prendere dalle emozioni producendo una serie di teorie non verificate» ha commentato la situazione il giornalista investigativo free lance Radovan Bránik. Secondo Bránik le informazione sugli affari loschi circolavano da tempo e il giro d’affari non sarebbe così clamoroso da giustificare un duplice omicidio. Secondo il giornalista una delle piste alternative porterebbe alla corruzione nella giustizia slovacca. La polizia dice di avere cinque o sei piste investigative su cui sta lavorando, compresa quella degli imprenditori calabresi o una, più fresca, che porta negli ambienti giudiziari.

DOPO LA SOSPENSIONE dei due collaboratori di Fico e le dimissioni del ministro della cultura Marek Madaric «per sensibilità personale», le opposizioni continuano a chiedere le dimissioni del premier e soprattutto del suo braccio destro, il ministro dell’Interno Robert Kalinak dato molto vicino agli ambienti opachi di diversi affaristi. Il premier, dopo aver disposto una ricompensa di un milione di euro a chi fornisca informazioni sull’omicidio Kuciak, respinge ogni richiesta dei partiti di opposizione – «prematura e non suffragata dai fatti» – e li accusa di «cavalcare l’emozione della gente e dei giornalisti per conquistarsi fette di potere».

Meno compatto invece il resto della coalizione: dal partito centrista della minoranza ungherese Most-Híd si sono levate pesanti accuse in particolare contro il ministro dell’Interno e il capo della polizia Tibor Gašpár che dovrebbero dimettersi per non mettere a repentaglio la credibilità degli investigatori. La sedia sotto entrambi traballa.