La questione più spinosa, la riforma di Dublino, è stata rinviata. Se ne riparlerà entro il prossimo mese di giugno, prima della fine della presidenza di turno maltese più vicina alle posizioni italiane. Nulla di fatto anche per quanto riguarda la Turchia. La maggior parte dei leader europei sembra interessata più ai risultati ottenuti con la chiusura della rotta balcanica che alle conseguenze della repressione messa in atto da Erdogan dopo il fallito golpe di luglio e per questo, nonostante l’opposizione dell’Austria, per adesso non si parla di un possibile congelamento del processo di adesione della Turchia alla Ue. Per quanto riguarda gli accordi con i paesi africani, infine, è stato stanziato un cospicuo pacchetto di milioni di euro destinato a quei governi, primo fra tutto quello del Niger, disposti a impegnarsi per fermare le partenze dei migranti.

Alla fine Paolo Gentiloni può dirsi soddisfatto. Nel suo primo consiglio europeo da premier è riuscito a mantenere la linea dettata in passato da Matteo Renzi. Del resto non avrebbe potuto essere altrimenti. Per quanto riguarda l’atteggiamento da tenere con l’Europa sulla questione migranti la posizione dell’ex ministro degli Esteri è sempre stata allineata a quella dell’ex premier. E questo Gentiloni lo fa capire subito. «Oggi la questione principale è l’immigrazione, e da questo punto i vista non siamo ancora soddisfatti della discussione sul regolamento di Dublino che fissa le regole sull’accoglienza dei rifugiati», dice non appena arrivato a Bruxelles.

Lo scoglio da superare riguarda la proposta di «solidarietà flessibile» avanzata dalla Slovacchia, portavoce di paesi del blocco di Visegrad da sempre contrari ad accogliere i migranti. Proposta che lascia di fatto il carico dell’accoglienza tutto sui paesi di primo sbarco (Italia e Grecia), facendo scattare un’eventuale redistribuzione solo una volta che venissero superati precisi limiti di guardia, che per l’Italia scatterebbero solo se arrivassero 300 mila persone sulle nostre coste. Una soluzione chiaramente inaccettabile per il governo italiano, che Bratislava avrebbe invece voluto far passare almeno come principio, riuscendo così a condizionare la discussione futura. L’essere riuscita a imporre un limite temporale – giugno 2017 – rende comunque più difficile per l’Italia l’impresa di riformare il diritto di asilo europeo.

Seppure lentamente, gli accordi con i paesi africani per fermare i migranti stanno invece diventando una realtà. Ieri a Bruxelles era presente anche il presidente del Niger Mahamadou Issoufou che ha siglato con Francia, Italia e Germania un accordo del valore di 100 milioni di euro, mentre altri 780 milioni di euro saranno stanziati sempre a Niamey dall’Unione europea per progetti destinati allo sviluppo e alla sicurezza. Il Niger è uno dei principali paesi di transito dei migranti diretti in Libia da dove poi si imbarcano per l’Europa. Nel corso del consiglio Ue la rappresentante della diplomazia europea Federica Mogherini ha illustrato i primi risultati della collaborazione con il Niger, con i migranti passati dai 70 mila di maggio ai poco meno di 2.000 di ottobre. Proseguono inoltre i negoziati per arrivare ad accordi simili anche con Etiopia, Nigeria e Senegal. Infine via libera di Bruxelles a un accordo con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) per i rimpatri volontari dei migranti bloccati in Libia.