Per il Pd la mozione per il riconoscimento italiano dello Stato di Palestina è materia che scotta. Troppe «sensibilità diverse» tra le fila del partito, troppo delicati gli equilibri internazionali e le condizioni politiche interne allo Stato di Israele, alle prese con le imminenti elezioni. La via di fuga, per il segretario Matteo Renzi, sarebbe un testo – che al momento è ben lungi dall’essere pronto – condiviso il più possibile, o almeno con gli alleati della maggioranza. Ecco perciò che lo slittamento del voto, previsto inizialmente per oggi alla Camera e rinviato a causa della fiducia posta sul decreto Milleproroghe, come ha stabilito ieri sera la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, dà un po’ di respiro alla difficile trattativa affidata al deputato Enzo Amendola, responsabile nazionale dei democratici per la politica estera.

Se ci fosse stata l’unanimità dei gruppi, si sarebbe potuto chiedere una deroga alla pausa sui lavori di ventiquattr’ore prevista ogni volta che il governo chiede un voto di fiducia. Così non è stato, e dunque sarà necessario ricalendarizzare la discussione sulla politica estera e sulla Palestina che slitta a questo punto a data da definire. Amendola però lavorerà per cercare una convergenza almeno su alcuni principi chiave, ritenuti imprescindibili dai deputati democratici che ieri si sono riuniti per oltre due ore confrontandosi e anche scontrandosi tra chi, per esempio, pone maggiore attenzione sulle elezioni israeliane o chi crede nella necessità prioritaria di isolare le posizioni estremistiche interne alla leadership palestinese. Per Pippo Civati, per esempio, «la mozione di Sel sostiene più nettamente» la linea, da lui condivisa, «dei progressisti israeliani». «Ma – ha puntualizzato – io potrei votare sia la mozione del Pd che quella di Sel». Per non sbagliare, i democratici cercano di ricalcare la formulazione utilizzata per la mozione votata dal Parlamento europeo.

In ogni caso, il primo tra tutti i principi “certi” è il tradizionale «due popoli, due Stati», che «convivano nel mutuo riconoscimento».
Una soluzione che è il minimo sindacale e che accomuna anche le altre mozioni, quella di Sel e quella del Psi, sottoscritte pure da alcuni deputati del Pd. In particolare, il testo presentato da Sel è stato supportato dall’ex ambasciatore israeliano in Sud Africa, Ilan Baruch, che in una lettera inviata ai deputati italiani ha inviato loro l’appello di circa mille intellettuali israeliani (gli scrittori Yehoshua, Oz e Grossman, tra gli altri) in favore del riconoscimento dello Stato di Palestina. «Chiediamo – spiega Erasmo Palazzotto, primo firmatario della mozione di Sel – il riconoscimento dello Stato palestinese senza valutazioni di altro genere. Non è una mozione contro Israele». L’obiettivo, per Pia Locatelli, che per prima ha firmato la mozione del Psi, è «sbloccare i negoziati che sono fermi».

Disponibili a convergere anche sul testo del Pd, i deputati del M5S, per i quali «non ha importanza quale mozione sarà approvata, se la nostra, a prima firma Gianluca Rizzo, o quella di Sel e Psi. Questa volta ciò che conta è l’obiettivo, ovvero restituire al popolo palestinese i suoi diritti». La Lega e Forza Italia invece sposano una posizione nettamente filoisraeliana, ribadita dall’ambasciatore a Roma, secondo il quale «qualsiasi riconoscimento prematuro non farebbe altro che incoraggiare i palestinesi a non ritornare ai negoziati e allontanerebbe ulteriormente le possibilità di pace». Punto di vista completamente opposto, quello di Nemer Hammad, consigliere politico di Abu Mazen, che parla di «un segnale importante per riaprire il processo di pace con il prossimo governo israeliano e favorire la soluzione a due Stati».