Slavoj Zizek e i fratelli gemelli dell’oppressione
Saggi «Islam e modernità» di Slavoj Zizek per Ponte alle Grazie. Un pamphlet scritto nei giorni successivi l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo. E che considera il fondamentalismo come l’altra faccia del pensiero unico
Saggi «Islam e modernità» di Slavoj Zizek per Ponte alle Grazie. Un pamphlet scritto nei giorni successivi l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo. E che considera il fondamentalismo come l’altra faccia del pensiero unico
L’emozione dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo ha travalicato i confini francesi, diventando un «evento globale», come d’altronde testimonia la partecipazione di decine e decine di leader politici alla manifestazione convocata dal presidente francese contro il terrorismo a Parigi. Su quel gruppo di uomini e donne che hanno sfilato compatti come un battaglione di soldati sono state scritte parole corrosive, in particolar modo quando è stato ricordato che alcuni di quei leader politici praticano sistematicamente il terrorismo di stato; oppure che sono stati responsabili di guerre animate da una logica di potenza che ha ignorato il rispetto delle popolazioni civili. Un elemento questo che ricorda anche Slavoj Zizek in un piccolo pamphlet da poco mandato nelle librerie da Ponte alle Grazie, che prende l’avvio da un articolo del filosofo sloveno pubblicato in Italia dal quotidiano «La Repubblica». Il titolo del volume è programmatico, perché vuol indagare il rapporto tra Islam e modernità (pp. 91, euro 9), contestando la tesi dell’assoluta incompatibilità tra la religione di Maometto e la modernità occidentale.
Zizek non è ovviamente un esperto di teologia islamica, anche se emerge una buona conoscenza del Corano, nonché di alcuni testi di interpretazione della religione musulmana. Ciò che gli sta a cuore è l’analisi, e la confutazione, di due tesi prevalenti nel «mondo occidentale». La prima è la convinzione che dietro il fondamentalismo islamico ci sia un’adesione dogmatica ai precetti del Corano. Nulla di più sbagliato, sostiene il filosofo sloveno. La lettura del Corano, così come di ogni altro testo religioso, è inserita in una contingenza culturale, sociale e politica.
Arriva Jihadi John
La ricezione di quei libri va quindi inserita all’interno di uno «spirito del tempo» dominante. Possono cioè funzionare come elementi reattivi, di manifesta alterità o di adesione al pensiero dominante. Il fondamentalismo islamico è da collocare in un contesto preciso, che è quello della globalizzazione. È necessario dunque introdurre una distinzione tra Islam e fondamentalismo islamico. Questo non significa, però, che ci sia incompatibilità tra la dimensione politica fondamentalista e la religione islamica, bensì che il primo aspetto non esaurisce il secondo.
Il fondamentalismo islamico, nelle sue diverse eccezioni, delle quali l’Isis è l’ultima variante, va collocato all’interno di una riconfigurazione dei rapporti interstatali sia nelle realtà arabe, ma anche di quei paesi che hanno una popolazione significativa di religione musulmana. Va però anche inserito nei rapporti politici e economici tra Nord e Sud del pianeta. E, fattore in rapida espansione, entra come variabile rilevante nelle relazioni sociali all’interno di alcuni paesi europei tra giovani di religione musulmana e il resto della popolazione, come testimoniano le biografie dei due assalitori di Charlie Hebdo, di Jihadi John e di altri foreign fighters.
Per Zikek sono tutti tasselli di un puzzle in continuo divenire, che asserisce soprattutto un fatto: il fondamentalismo è un fattore reattivo alla globalizzazione, alle trasformazioni a cui ha dato il via, al fallimento dei processi di modernizzazione seguiti alla decolonizzazione e ai progetti «liberali» di costruzione di società multiculturali. E se per il mondo arabo stiamo assistendo a una ridefinizione dei confini imposti dal capitalismo europeo e statunitense, per i giovani europei che aderiscono alle parole d’ordine politiche del fondamentalismo islamico si può parlare della crisi dei processi di integrazione sociale.
Zizek aderisce a questa lettura, anche se invita, giustamente, a considerare il fondamentalismo non come una opposizione alla società del capitale, bensì come a una componente proprio di una globalizzazione certo in crisi, ma che vuol comunque imporre al mondo la camicia di forza dell’economia di mercato. Il fondamentalismo islamico, in quanto progetto politico, altro non è che il tentativo feroce di poter condizionare proprio la globalizzazione, senza mai metterla in discussione. È cioè l’ospite inatteso a un banchetto che ha come menù le risorse naturali del pianeta e la ricchezza prodotta.
Non va quindi considerato come un soggetto antagonista alla società del capitale, come è stato talvolta scritto dagli orfani del mondo bipolare, bensì come il progetto di chi aspira, con un forte senso di rivincita, a diventarne protagonista al pari di altri.
Ma c’è anche l’altro aspetto che Zizek tiene a precisare: il rapporto tra la cultura liberal e il fondamentalismo islamico. L’immagine che usa è quello di due facce della stessa medaglia, cioè entrambe sono culture politiche sono tese a consolidare l’ordine costituito. Più che la liberazione dagli oppressori o il rispetto delle libertà dallo sfruttamento sono entrambe culture politiche dell’oppressione. È un vecchio cavallo di battaglia di Zizek, quello di assegnare all’ideologia dei diritti umani un ruolo di legittimazione dello status quo. Quel che però risulta poco convincente è, rispetto al fondamentalismo islamico, la differenza tra alcune libertà garantite nell’Occidente e la loro negazione da parte dei movimenti politici islamici fondamentalisti.
Un malinconico invito
Il filosofo sloveno ha molte frecce nel suo arco nello scagliarsi contro la misoginia dei fondamentalismi islamici e l’esaltazione consumista del corpo delle donne in Occidente, ma il suo malinconico invito al pensiero critico, a salvare la cultura liberal da se stessa risulta una boutade per catturare l’attenzione. Un invito che non può, infatti, che cadere nel vuoto se non è accompagnato dall’altro movimento di pensiero: la critica ai dispositivi che impongono lo stesso regime di produzione della ricchezza. Più sinteticamente: il problema che drammaticamente il fondamentalismo islamico pone al pensiero critico è l’elaborazione di rapporti sociali che non prevedano oppressione e espropriazione privata della ricchezza. Tanto nel Nord che nel Sud del pianeta, in Francia come in Siria.
Senza nessuna concessione alla retorica, il movimento da compiere è quello che ha portato gli uomini e le donne di Kobane e della Rojava a resistere all’Isis in nome non di generiche libertà, ma della propria capacità di sviluppare, costruire relazioni e rapporti sociali. Qui la libertà è una componente fondamentale per la capacità di autodeterminare la propria esistenza, le relazioni sociali e nel valorizzare, al tempo stesso, le differenze culturali, etniche, religiose. Il fondamentalismo islamico è un nemico di processi di liberazione, altro che possibile compagno di strada nella lotta contro il capitalismo neoliberista o l’imperialismo occidentale. Così come lo è, ma in forme diverse, quella cultura liberal che rischia sempre di ridursi a una tolleranza repressiva verso chi propone di andare oltre l’angusto orizzonte dell’economia di mercato.
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