Toni pacati, sostanza durissima. Il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio non fa nessuno sconto al presidente del consiglio, fresco di presentazione a Montecitorio del dpcm. «Non vorrei che questa seconda fase della crisi portasse alla sfiducia nelle istituzioni», dice, e si tratta della critica più acuminata mossa apertamente a Conte dalla nascita del governo giallorosso. Il prosieguo è un j’accuse appena mascherato: «Non dimentichi la fragilità, l’angoscia, l’impazienza e la rabbia che stanno montando nel Paese. Dobbiamo mettere in campo uno sforzo maggiore senza guardare ai sondaggi».
Poco prima Conte aveva ripetuto l’intervento del giorno prima al Senato, alzando però i decibel dell’allarme: «La situazione si sta rivelando molto critica ma l’Italia è in una situazione ben diversa rispetto a marzo». Aveva anche dato un po’ meno del giorno prima la sconcertante impressione di far ricadere la responsabilità del contagio solo sui «comportamenti individuali» e sui «luoghi di ricreazione». Al Pd evidentemente la minima correzione di rotta non è sembrata sufficiente.

L’attacco del capogruppo dem è spia fedele della tensione che sta montando tra il Pd, che vorrebbe un intervento più drastico e tempestivo, e i 5S, schierati con la «strategia dei piccoli passi» di Conte. I deputati del Pd si mostrano scandalizzati per gli interventi dei pentastellati, che per la verità con il loro ripetere che tutto va bene e che «il Paese è in buone mani: le nostre» sembrano appena arrivati da un altro pianeta. I 5S replicano ricordando che «il Pd oggi vuole la chiusura delle scuola. Se lo sono dimenticati che in agosto erano proprio loro a insistere per la piena riapertura?». Delrio ha ragioni da vendere e tuttavia il rimpallo delle responsabilità tra partiti, così come quello tra governo, Regioni e Comuni, induce la sensazione che il ponte di comando sia vuoto e al timone non ci sia più nessuno. Le iniziative prese di corsa da governatori e sindaci portano inevitabilmente a chiedersi perché quelle misure quasi ovvie, come il ricorso ai bus privati a Roma già sperimentato a maggio o l’assunzione dei nuovi operatori sanitari non siano state varate per tempo.

Per aggirare l’attendismo di Conte i ministri interventisti come Speranza e Franceschini hanno chiaramente messo a punto un escamotage astuto: accettare un dpcm in sé vuoto ma che permette ai presidenti di Regione di irrigidire le misure. I presidenti hanno colto il segnale. Negli ultimi tre giorni moltissimi si sono sentiti al telefono con Speranza, poi, di fronte all’impennarsi delle curve sono passati a sfruttare il varco aperto dal dpcm. Anche questo però delinea un quadro in cui non sembrano più esserci né bussola né guida.

Un nuovo intervento del governo è dunque nell’ordine delle cose. La stessa misura estrema, il lockdown, non viene più tassativamente esclusa, almeno in privato. Le voci diffuse ieri su una decisione già presa, quella di chiudere tutto se si arrivasse a 2300 posti occupati in terapia intensiva, hanno però poco fondamento. Non è stata presa alcuna decisione, non c’è nessuna asticella, a dettare le mosse del governo sarà solo l’evolversi del quadro complessivo, del rapporto tra i 21 indicatori. Neppure sul prossimo dpcm, che arriverà di certo, si possono fare ipotesi ragionevoli. Conte frena convinto che, dopo il lockdown, le mascherine siano l’arma più potente. Vuole aspettare l’esito del decreto che ne ha disposto l’uso a tempo pieno, dopo due settimane dall’entrata in vigore il 13 ottobre. Sino a quel momento, salvo drastici balzi del contagio, ad agire saranno le amministrazioni locali, anche se entro questa settimana dovrà essere presa la decisione su un settore importante e nel quale lo scontro è acerrimo: la chiusura di palestre e piscine contrastata dal ministro Spadafora con determinazione pari a quella di Lucia Azzolina.

La decisione di aspettare i risultati della campagna mascherina è confermata, per Conte, dal quadro che promette tempesta anche sull’altro fronte della crisi, quello economico. La mazzata sul quarto trimestre è già certa e da Bruxelles arrivano notizie pessime sul Recovery Fund. Salvo miracoli vararlo entro il primo gennaio non sarà possibile.