Ieri il Partito democratico dei Popoli (Hdp) ha lanciato la justice watch, «sentinella» alla Corte costituzionale che non terminerà fino all’avvio del processo nei confronti del co-presidente, Selahattin Demirtas.

Nell’attesa della prima udienza, continuamente rinviata, pendono sul suo capo le accuse di «costituzione e direzione di un’organizzazione terroristica armata», «propaganda in favore di organizzazione terroristica», «istigazione all’odio e alla violenza pubblica», «organizzazione, direzione e partecipazione a marce e incontri pubblici contrari alla legge», «disobbedienza all’ordine di dispersione di marce e incontri contrari alla legge», «incitamento alla partecipazione a marce e incontri contrari alla legge», «incitamento al crimine», «apologia di reato».

Per questa lunga e un po’ confusa lista di capi d’accusa, formalizzata solo dopo diversi mesi dalla sua incarcerazione il 4 novembre 2016, Demirtas rischia fino a 142 anni di prigione.

La confusione regna tra i vari tribunali di Ankara, dopo che la 19a Corte criminale aveva chiesto l’unione di un altro fascicolo relativo a Demirtas, quello che lo vedrebbe coinvolto nella morte di quattro giovani a Diyarbakir nel 2014 con accuse di incitamento all’odio e propaganda terroristica.

La richiesta era stata respinta dalla 2a Corte penale di Ankara e successivamente passata di competenza alla Corte regionale di Giustizia di Ankara, che ha respinto il tutto per irregolarità formali. Il rimpallo ha causato lo slittamento delle udienze.

L’avvocato di Demirtas, Mahsuni Karaman, denuncia: «Non è neppure possibile stabilire una data d’udienza per il mio cliente, dato che non si capisce quale tribunale abbia la competenza».

Demirtas continua a essere in stato d’arresto preventivo, provvedimento che la legge prevede sia rivalutato con scadenza mensile. Tuttavia gli ultimi due mesi non hanno visto alcuna decisione in merito dalle autorità.

«Il risultato è che il mio cliente è in carcere da due mesi senza che esista un mandato d’arresto legale», ha continuato l’avvocato Karaman.

Per un altro caso Demirtas è stato invece condannato lo scorso febbraio a cinque mesi di carcere per «insulti alla nazione turca, allo Stato e alle istituzioni», mentre ad aprile gli è stato comminato un altro anno di carcere per imputazioni di terrorismo. A febbraio era invece decaduto il suo seggio in parlamento, temporaneamente occupato dalla deputata Hdp Filiz Kerestecioglu.

Una dichiarazione forte è giunta dal portavoce Hdp, Osman Baydemir,di fronte alla Corte costituzionale ad Ankara: «Demirtas e altri nostri dieci colleghi sono detenuti illegalmente da 306 giorni, ostaggio di questo governo».

Nonostante gli esposti presentati da tempo, la Corte non si è mai pronunciata circa la legittimità dei provvedimenti giudiziari adottati nei confronti dei parlamentari detenuti.

La procura di Diyarbakir, intanto, ha presentato un nuovo esposto nei confronti della deputata Caglar Demirel in relazione a un discorso tenuto il primo luglio durante una cerimonia commemorativa a Sivas, in cui avrebbe definito le operazioni dell’esercito turco come violenza fascista e accusato i soldati di tortura.

Il discorso è stato valutato dalla procura come legittimazione del conflitto armato da parte del Pkk ed è stata accusata di apologia del terrorismo. Rischia fino a 5 anni di carcere.

Oltre a Demirel, altri tre sono i deputati in carcere per cui è attesa la decadenza del seggio parlamentare, quattro ne sono già stati privati.