Il «piano scuola» annunciato dal sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi (Pd) è ancora un cantiere, ma è bastata l’allusione ad un aumento secco dell’orario di lavoro da 18 fino a 36 ore settimanali per i docenti e l’idea dell’apertura degli istituti fino alle 22, 11 mesi su 12, ricorrendo anche ai privati per provocare l’allarme tra i sindacati e i movimenti dei docenti precari. Ieri pomeriggio sulle scalinate del ministero della pubblica istruzione a Roma l’Unicobas ha organizzato un sit-in di protesta al quale hanno partecipato gli altri sindacati e più di un centinaio di persone. Stamattina davanti a Montecitorio ci sarà la protesta convocata su proposta del coordinamento scuole di Roma e dei lavoratori autoconvocati alla quale parteciperà anche la Flc-Cgil.

Dal ministero di Viale Trastevere, il ministro Stefania Giannini ha fatto trapelare che nel decreto legge che verrà portato in Consiglio dei ministri in settimana potrebbe essere inclusa una soluzione per la drammatica vicenda del personale scolastico «Quota 96», una modifica del sistema del reclutamento universitario, il «miglioramento dell’offerta formativa» e le prove Invalsi. Il governo sarebbe orientato a formulare un secondo decreto in cui dovrebbe trovare spazio anche l’aumento dell’orario di lavoro. In attesa del Cdm, Giannini sembra avere alluso ad uno slittamento delle misure annunciate, e poi ritrattate, sulla «premialità» degli insegnanti. «Ci vuole una grande riflessione che deve avere un tempo più lungo – ha detto – ma non ci sono date fissate».

Gli annunci mediatici del governo hanno esacerbato gli animi facendo scattare l’allarme rosso a metà luglio. I sindacati non intendono abbassare la guardia. «Le smentite del sottosegretario Reggi equivalgono ad una conferma – ha detto Sergio D’Errico, segretario Unicobas – visto che insiste sulle supplenze a carico del personale di ruolo. Questo non è possibile se non con l’aumento dell’orario della cattedra». Da qui la denuncia dell’aumento secco dell’orario di servizio per i docenti di ruolo che escluderebbe decine di migliaia di docenti precari iscritti alla seconda e terza fascia. La proposta sull’apertura delle scuole fino alle 22 viene definita dal sindacato di base un’«esca avvelentata ma accattivante».

«Mancano tempo pieno e tempo prolungato, non arrivano i fondi per le attività di recupero – aggiunge D’Errico – le scuole non hanno personale Ata neanche per garantire le aperture attuali e il governo propone l’allungamento dell’orario di apertura?».

«Il problema è che negli ultimi dieci anni i governi che si sono succeduti hanno utilizzato la scuola italiana come quasi fosse un bancomat – ha detto ieri il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico – i fondi destinati ai nostri giovani sono stati usati per coprire il buco di bilancio statale, ma anche l’inefficienza, l’irresponsabilità e, in alcuni casi, perfino la corruzione della politica». Secondo i calcoli dell’Anief dal 2009 sono stati 200mila i posti tagliati, tutti ai danni dei docenti e del personale precario. Per l’Anief sarebbero necessarie 100 mila assunzioni per coprire i posti vacanti.

Stipendi da fame, precari sottopagati, scuole che chiedono la settimana corta per mancanza di fondi, il dilagare del lavoro gratuito in cambio del punteggio nelle scuole paritarie, burn out crescente tra gli insegnanti. è il racconto di un mondo in bilico, e sofferente, quello esposto nel sit-in di ieri. Ritorna anche la richiesta di sbloccare il contratto nazionale della scuola e gli investimenti dopo i tagli epocali da 8,4 miliardi di euro. «Queste sono le vere priorità per determinare un’inversione di tendenza – afferma Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) ma non le abbiamo ancora viste nella politica scolastica del governo Renzi».