Ieri mattina, intorno alle 11 e mezza locali, un terremoto di grado 7,9 sulla scala Richter ha colpito un’ampia parte dell’Asia meridionale. L’epicentro, secondo le rilevazioni dello Us Geological Survey, è stato individuato a 80 km a nordovest da Kathmandu, capitale del Nepal. Le scosse, comprese quelle di assestamento (intorno ai 6 gradi della scala Richter) sono state avvertite in tutta la regione: da New Delhi a Dhaka (Bangladesh), dal Bengala Occidentale alle aree dell’Himalaya tibetano, si sono registrati centinaia di feriti e decine di morti, senza contare la situazione in Nepal che, di ora in ora, appare sempre più preoccupante. Il bilancio delle vittime, secondo la polizia nepalese, nella serata locale è stato aggiornato a oltre 1.130 morti.

Mentre scriviamo in Nepal è già calata la notte e nei principali centri abitati del paese – Pokhara e Kathmandu – decine di migliaia di persone si preparano a passare la notte all’addiaccio, con temperature che scenderanno fino a 12 gradi centigradi nella valle di Kathmandu. L’ospedale della capitale non è in grado di offrire riparo alle centinaia di vittime del terremoto e, secondo quanto riportato dall’inviata del The Guardian Anna Codrea-Rado, per far fronte all’emergenza tutti i medici disponibili sono stati richiamati in servizio dalla struttura ospedaliera. Nel frattempo è partito un piano di solidarietà dal basso, con templi e ashram che hanno aperto le porte a chi è rimasto senza casa, offrendo materassi, coperte e organizzando punti di raccolta per il cibo che viene donato spontaneamente dalla popolazione.

Jamie McGoldrick, coordinatore dell’Onu per il Nepal, ha dichiarato al Guardian: «Non c’è dubbio che siamo di fronte a un terremoto eccezionale, ma siamo fortunati che l’epicentro non sia stato proprio qui a Kathmandu; le conseguenze, in quel caso, sarebbero state decisamente più drammatiche». Il vice primo ministro Bamdev Gautam – col primo ministro Sushil Koilara all’estero – ha dichiarato lo stato d’emergenza per tutto il Nepal, chiedendo assistenza immediata alla comunità internazionale per condurre operazioni di salvataggio e sostegno umanitario.

Appello al quale ha immediatamente risposto l’India che, per ordine del primo ministro Modi, ha inviato un aereo cargo dell’Indian Air Force con 37 uomini della National Disaster Response Force indiana e un carico di 3,7 tonnellate di aiuti. Con l’aeroporto di Kathmandu chiuso per i danni registrati in seguito al sisma, sarà proprio il velivolo dell’Indian Air Force a fare i primi sopralluoghi per valutare lo stato dei collegamenti stradali in Nepal, dove molte zone – specie piccoli centri arrampicati sulle montagne – sono letteralmente tagliate fuori dal resto del paese.

Anche per questo gli esperti ritengono che il bilancio delle vittime sia destinato a salire drammaticamente, nell’impossibilità – al momento – di prendere contatto con molti centri abitati. Si tratta del terremoto più forte verificatosi in Nepal negli ultimi 80 anni e mentre i primi soccorsi cercano di mettere in salvo le vittime intrappolate sotto le macerie, i danni al patrimonio culturale e storico mondiale danno già la misura del contraccolpo che il paese, tra i più poveri al mondo e fortemente dipendente dal settore del turismo, potrebbe subire nell’immediato futuro.

La torre Dharahara di Kathmandu, monumento di nove piani e patrimonio dell’Unesco, è stato ridotto in polvere dalla prima scossa. Eretto nel 1832 per volere dell’allora primo ministro Bhimsen Thapa, la Dharahara era la seconda delle due torri fatte costruire da Thapa come osservatorio militare.

La prima fu completamente rasa al suolo in un altro sisma nel 1932. Anche piazza Durbar di Kathmandu, altro patrimonio dell’Unesco davanti al palazzo imperiale, secondo quanto si apprende dalle agenzie è stata gravemente danneggiata. A causa del terremoto, una valanga ha travolto 18 scalatori sul Monte Everest e molti altri sarebbero intrappolati sotto la neve. Le regioni dell’India settentrionale maggiormente colpite sono il Bengala Occidentale, l’Uttar Pradesh e il Bihar, dove al momento si contano 36 morti, ai quali si aggiungono i quattro del Bangladesh e i 18 della Cina, in particolare in Tibet.