6 febbraio: due terremoti hanno colpito la Turchia, causando finora la morte di quasi 10mila persone. Dieci città, nel sud est del paese, dove vivono più di tre milioni di persone sono state al centro del disastro.

Sin dalle prime ore si è vista in modo evidente l’incapacità del governo nella gestione dell’emergenza, quello stesso governo che deve fare i conti con le elezioni presidenziali e politiche in arrivo il 14 maggio.

MURAT UYSAL, del quotidiano Evrensel, racconta così ciò che ha visto nella città di Malatya: «Manca l’acqua e mancano i beni di prima necessità. Non abbiamo visto nessun soccorritore e nemmeno gli aiuti della Mezzaluna rossa». Il giornalista Sefa Uyar, corrispondente da Iskenderun per il giornale Cumhuriyet: «Le persone si buttano davanti agli scavatori per fermarli e poi portarli verso le macerie dove si trovano i loro cari. Ci sono solo i soccorritori volontari e numerosi quartieri sono interamente distrutti».

Hazar Dost lavora per il portale di notizie T24 e racconta la città di Hatay: «Le tende sono inesistenti. Manca l’acqua, si teme che scoppino epidemie. Solo 24 ore dopo sono arrivati i soccorsi. Il quartiere storico della città, Antakya, possiamo dire che è scomparso».

PURTROPPO per la Turchia non si tratta di una novità: anche nel terremoto del 2011 nella città di Van, poi nel 2020 a Elazig e durante la gestione degli incendi dell’estate 2022, sulla costa dell’Egeo e del Mediterraneo, mancavano gli scavatori, le tende, il cibo, il personale e gli aerei per combattere gli incendi. Dopo il terremoto di Van per ben due anni i terremotati hanno vissuto nei container e le case che gli sono state consegnate si sono allagate con le prime piogge e diventate inagibili in pochi anni.

Dopo il terremoto di Elazig la nazione ha scoperto che gli aiuti raccolti nel 2011 erano stati usati per altri scopi e con gli incendi del 2022 è emerso che numerosi aerei aspettavano la manutenzione da anni. Per fortuna ci sono giornalisti che denunciano l’incapacità del governo ma a un costo salato.

Il 7 febbraio la Procura di Istanbul ha aperto un’indagine nei confronti dei giornalisti Enver Aysever e Merdan Yanardag per le critiche fatte nei confronti del governo su internet. Il giorno dopo Mahmut Altıntas, reporter dell’agenzia Meztopotamya e la collega Sema Çaglak dell’agenzia JinNews sono stati posti in detenzione provvisoria mentre documentavano i danni del terremoto a Birecik.

Anche in questo caso non si tratta di una novità. Da anni in Turchia, la coalizione di governo cerca di far tacere i giornalisti che la criticano, creando delle leggi ad hoc e usando sia la magistratura che la polizia.

NON SONO MANCATE anche le sporadiche proteste dei cittadini. Ad Adiyaman, il ministro dei trasporti, il prefetto e i reporter dell’emittente statale Trt, a Antep il vice del principale partito al governo e a Diyarbakir il ministro della giustizia sono stati contestati per la cattiva gestione ma anche per l’informazione scorretta divulgata dai mezzi di propaganda del regime.

Tutto questo accade in una Turchia immersa fino al collo in una profondissima crisi economica senza precedenti. La svalutazione della lira, l’aumento della disoccupazione, l’irrefrenabile salita dell’inflazione e la caduta tragica del potere d’acquisto sono le condizioni economiche che rendono la vita impossibile per le persone che con una notevole velocità abbandonano il paese e si recano all’estero alla ricerca di un rifugio sicuro e un futuro sereno.

NEL FRATTEMPO si avvicinano sempre di più le elezioni per il presidente della repubblica e per il parlamento. Secondo l’ultimo sondaggio dell’agenzia Avrasya del 5 febbraio la coalizione di governo otterrebbe circa il 32% dei voti e le opposizioni unite supererebbero la soglia del 41%. Fondamentale capire il comportamento degli indecisi che in ogni sondaggio corrispondono a circa il 12-14%.

Vista la situazione, il regime cerca di fare il possibile per manipolare le notizie e raccontare una realtà che non c’è, con l’obiettivo di tenere consolidato il suo elettorato e arrivare al 14 maggio con poche perdite. I ministri, dal primo giorno del terremoto, parlano di una situazione «sotto controllo» e il presidente Erdogan, nella sua visita di ieri a Pazarcik, ha definito ciò che è accaduto come una situazione «inevitabile e il frutto del destino già scritto», assicurando ai cittadini che «domani sarà molto meglio». È lo stesso Erdogan che dopo il terremoto del 1999 pronunciava le seguenti parole: «Non il terremoto, ma la mancata prevenzione uccide».

IN QUESTI GIORNI Ankara ha dichiarato lo stato d’emergenza per tre mesi nelle zone colpite dal terremoto. Si teme sarà l’occasione per avere un periodo elettorale pieno di divieti e censure.

Alla fine si tratta di un regime che dal 2013 perde sempre di più il consenso come ha dimostrato la rivolta di Gezi, le inchieste anti-corruzione del 2014, le elezioni del 2015, il referendum del 2017 e le amministrative del 2019. Proprio per questo usa sempre di più strumenti antidemocratici. La domanda che merita una risposta onesta è «fino a quando i suoi alleati continueranno a sostenerlo?».