Chi può dimenticare il giuramento in piazza Tahrir del 29 giugno 2012 dell’ex presidente Mohammed Morsi, quando mostrò il petto, spavaldo, incurante di ogni possibile attentato. Il nuovo faraone, Abdel Fattah Sisi è invece già intoccabile: non ha partecipato a eventi pubblici in campagna elettorale né ha preso parte all’acclamazione in piazza per il suo insediamento. Dopo la vittoria di Pirro, costata migliaia di vite umane, con scarsa partecipazione al voto, Sisi tornerà nella torre d’avorio dove risiedeva Mubarak. E Ibrahim Mahleb, ex dirigente del Partito nazionale democratico, continuerà a servire come premier, a conferma della continuità tra governo ad interim e nuovo esecutivo.

Fuochi d’artificio e caroselli per celebrare l’elezione di Sisi lasceranno presto spazio all’autoritarismo di regime. Nella notte di domenica, a Tahrir, tra metal detector e imponenti misure di sicurezza, era assiepata una folla anonima di famiglie e giovani di classe media (nella foto reuters), disorientati come se per la prima volta scendessero in piazza, trasportati dai pullman, organizzati dall’esercito. Sette uomini sono stati arrestati per le molestie subite da una donna in piazza, durante i festeggiamenti.

A conferma che sono soprattutto piccoli criminali e poliziotti i responsabili dei frequenti episodi di violenza sulle donne nelle manifestazioni di strada.Alle migliaia di Fratelli musulmani in carcere non resta che lo sciopero della fame a oltranza. Il presidente ad interim Mansour si è affrettato anche a cancellare sei decreti di Morsi che graziavano 52 detenuti, quattro dei quali condannati a morte. Non solo, sono stati scagionati i quattro poliziotti, condannati per la morte per asfissia di 37 islamisti, dopo il massacro di Rabaa dell’agosto scorso.

Dopo il giuramento di Sisi, i movimenti giovanili, che costrinsero Mubarak alle dimissioni nel 2011, sono in frantumi. Lo spazio per il dissenso si è ridotto drasticamente. All’unica manifestazione degli ultimi mesi, per la liberazione dell’attivista Mahiennur el Masry, alle porte del sindacato dei giornalisti al Cairo hanno preso parte poche centinaia di persone, con i principali leader dei movimenti dal comunista Khaled Ali al socialista Heitam Mohammedin.

Finiti gli interventi, sono state portate via le casse ed è iniziato un corteo in violazione della legge: cordoni di attivisti proteggevano la prima linea e la fine del corteo che ha attraversato via Sherif fino a piazza Talaat Harb. Alle porte del partito dell’unione progressista (Tagammu) sono scoppiati tafferugli con il lancio di pietre e vetri sui manifestanti. La paura si leggeva negli occhi di chi ha partecipato alla manifestazione.

Mahie è uno dei simboli delle rivolte ad Alessandria. Ha organizzato e motivato gli assembramenti più significativi dal gennaio 2011. I suoi slogan echeggiavano più forti di ogni altro uomo o donna che parte ci passe alle manifestazioni alle porte della Corte di Alessandria. In una lettera dal carcere, resa nota sabato, Mahie ha chiamato alla lotta di classe per scardinare il sistema dal basso, aggiungendo che i diritti dei poveri possono essere solo realizzati con la loro partecipazione. Ma ormai per gli attivisti dei movimenti giovanili non c’è posto nell’Egitto di Sisi.

Il 25 gennaio 2011, Tahrir è diventata il simbolo delle contestazioni. La più grande piazza della città è diventata un laboratorio unico di «politica di strada». Gli emarginati hanno tentato di riappropriarsi dello spazio pubblico e dei palazzi delle istituzioni: le più imponenti manifestazioni hanno avuto luogo intorno al parlamento (Moghles Shaab), alla sede del governo (Qasr Al-Aini), al ministero dell’Interno (via Sheykh Rihan) e per le strade limitrofe a vari ministeri. In seguito alle rivolte anti-Mubarak, lo spazio pubblico è stato frammentato dai militari per scoraggiare le proteste. Con il passare dei mesi, sono iniziati i cortei che, partendo da punti distinti della città hanno raggiunto il centro delle proteste: piazza Tahrir.

I contestatori hanno così idealmente superato le mura, costruite in fretta dalle forze di sicurezza, intorno ai palazzi delle istituzioni pubbliche. Con il golpe dello scorso luglio e il massacro del sit-in islamista di Rabaa al Adaweya queste mura sono tornate, più alte di prima anche se immateriali, e ai contestatori, come ai tempi di Mubarak, sono rimaste solo le università e il sindacato dei giornalisti, come unici recinti per protestare.