Quarto giorno di raid sulla città costiera libica di Sirte, una decina i bombardamenti partiti dai jet statunitensi. Mercoledì sera erano già nove, faceva sapere il Comando Usa in Africa che elenca anche i target colpiti: «Un lanciarazzi, un escavatore, un camioncino con un cannone e un altro camioncino con cannone».

Si spiegano così i trenta giorni di raid autorizzati dalla Casa Bianca: un tempo piuttosto lungo, visto che gli islamisti del “califfo” a Sirte sono confinati in quattro o cinque compound nei quartieri vicino al mare. Ma se le bombe Usa per ora si sono limitate all’equipaggiamento Isis, di tempo ne servirà di certo.

Non a caso ieri il portavoce dell’operazione anti-Isis del governo di unità del premier al-Sarraj riportava che di scontri a terra non ce ne sono stati altri: «L’Isis mantiene ancora il pieno controllo del Centro Ouagadougou e dei quartieri 1-2-3 sulla costa in prossimità del porto della città – ha detto il generale al-Ghasri – Le forze terrestri non riescono a progredire verso i nascondigli dello Stato Islamico per la presenza di cecchini sui tetti che mirano ai soldati».

Ci si potrebbe chiedere perché l’aviazione Usa non colpisca i compound occupati per eliminare definitivamente qualche centinaio di miliziani. Ma gli islamisti si nascondono tra le case: sebbene due terzi della popolazione civile di Sirte sia fuggita da tempo dalla città, sono presenti ancora circa 30mila persone, anche nei quartieri limitrofi alla “zona Isis”.

Di certo a Sirte si muore: secondo fonti mediche del posto, sarebbero cento le vittime (per lo più islamisti e soldati, non si hanno informazioni su civili) negli ultimi tre giorni. «I medici riferiscono di molti morti ma anche di tantissimi feriti per fratture, contusioni e traumi vari – spiega Foad Aodi, presidente delle comunità del mondo arabo in Italia (Comai) – Ci sono pochi strumenti a disposizione e i medici sono minacciati dai jihadisti perché siano curate solo le persone che decidono loro».

La situazione resta grave, le bombe hanno riacceso rivalità e interessi di parte. I motori dei jet Usa si sono accesi per dare credibilità al governo di al-Sarraj, a scapito del generale Haftar, capo dell’esercito del parlamento di Tobruk, ex riferimento occidentale che non ha mai riconosciuto come legittimo il nuovo esecutivo. Screditare Haftar significa anche indebolire la Francia che sul renegade libico ha puntato: non è un mistero che truppe francesi combattano al fianco dell’Esercito nazionale, prova ne è l’abbattimento del jet francese la scorsa settimana.

Ieri l’esercito Haftar è tornato a tuonare contro l’intervento Usa, parlando di «violazione della sovranità libica» perché «ogni decisione del governo che non ha la fiducia del parlamento è incostituzionale». Gli fa eco Sovranità Patriottica, gruppo parlamentare del presidente della Camera di Tobruk, Aguila Saleh: il capogruppo al Deghiri ha invitato, riporta Agenzia Nova, gli italiani a fare pressioni su Roma perché rispetti le istituzioni libiche e si coordini con loro prima di concedere le basi.

La questione delle basi è calda in Libia come lo è in Italia: mercoledì sera la Camera ha votato a favore della mozione di maggioranza sulla politica estera, 225 sì contro 82 no. Passa dunque la linea del ministro della Difesa Pinotti, che mercoledì si era detta pronta a mettere a disposizione di Washington le basi italiane. Come a dire che finora non sono state usate, posizione smentita dal portavoce libico dell’operazione di Sirte, al-Ghasri.

Comunque sia, la polemica è esplosa. Ieri il vicepresidente della Camera Di Maio attaccava la decisione perché aumenterebbe il rischio di attentati in Italia. Una dichiarazione che segue all’abbandono da parte dei deputati 5Stelle della riunione congiunta delle commissioni Esteri e Difesa, per l’assenza dei ministri Gentiloni e Pinotti.

Dura la posizione di Arci che parla di «ennesima iniziativa militare portata avanti senza un chiaro mandato delle Nazioni Unite e senza il consenso della maggioranza delle parti locali»: «L’evolversi della crisi dimostra che la guerra in Libia è stato un tragico episodio del neocolonialismo europeo e americano il cui unico esito sarà una radicalizzazione dello scontro».

Un’agenda occidentale, insomma, almeno a metà: i raid Usa spaccano la Libia, spaccano l’Italia ma spaccano anche il fronte europeo che nel 2011 si lanciò nella crociata anti-Gheddafi. La Francia continua a non commentare. Martedì Parigi si è limitata a riaffermare il proprio sostegno al governo al-Sarraj, dopo la rabbia del primo ministro per l’impegno militare di truppe francesi nell’est del paese. Ma niente di più. Washington sembrerebbe puntare ad arginare Parigi, isolando Haftar. Ieri il presidente Barack Obama si è incontrato al Pentagono con i consiglieri militari e alla sicurezza nazionale per discutere dell’eventuale ampliamento dell’operazione anti-Isis.