Ci sono quasi 3 milioni di profughi siriani in Turchia, solo poche centinaia di migliaia dei quali (260 mila) vivono in 26 campi lungo il confine con la Siria. Dunque il 90 per cento dei rifugiati che ospita la Turchia è distribuito su tutto il territorio nazionale e in particolare nelle grandi città.

Vi sono certamente molte persone indigenti, disperate, bisognose di aiuti umanitari, ma anche molti imprenditori, professionisti, medici, dentisti, ingegneri e accademici. I rifugiati siriani sono generalmente percepiti come conservatori islamici e sospetti fiancheggiatori dell’Isis. Soprattutto dopo la raffica di attentati che ha sconvolto il paese in quest’ultimo anno.

I cittadini turchi guardano con crescente preoccupazione alla possibilità di infiltrazione di terroristi islamici tra la numerosa comunità siriana che risiede nel proprio paese. Molti siriani soffrono per il fatto di non avere lavoro e sono costretti a inventarsi un modo per sopravvivere. Quasi sempre l’unico lavoro che riescono a trovare è un’attività svolta al nero e dunque sottopagata e del tutto precaria. Molti di essi invece, i più fortunati e intraprendenti, sono riusciti a dare uno sbocco dignitoso al dramma che stanno vivendo. Hanno infatti dato vita a diverse attività, alcuni di essi hanno aperto ristoranti, negozi di tessuti, e start up. I più giovani si sono iscritti all’Università.

Non molti sanno che la Turchia è uno dei pochi paesi al mondo in cui i rifugiati siriani hanno pochissimi problemi ad integrarsi. Lo dimostra l’elevato numero di quanti sono riusciti a inserirsi anche quest’anno nel mercato del lavoro.
Grazie all’accordo Turchia-Ue e alle riforme che ne sono scaturite in questo paese che riguardano l’accoglienza e un adeguato sostegno dei migranti, la politica di Ankara è cambiata ed è diventata quella della piena integrazione: a tutti i rifugiati viene concesso un permesso di lavoro e l’accesso all’istruzione, oltre che alla sanità e a tutti gli altri servizi sociali.

Fino allo scorso gennaio i profughi siriani, infatti, non potevano disporre di un regolare permesso di lavoro perché secondo l’ordinamento turco erano considerati «Ospiti in protezione temporanea» e dunque a loro non veniva applicato lo status di rifugiato, e quindi trovavano lavori occasionali in nero e guadagnavano molto meno dei loro colleghi turchi, oppure mandavano a lavorare i loro figli.

Poi a partire da gennaio è stata introdotta una legge, proprio grazie all’accordo Turchia-Ue del 18 marzo scorso, che consente a tutti i siriani di chiedere un permesso di lavoro. Il problema è purtroppo rappresentato dal fatto che in Turchia in questa fase è difficile per tutti trovare un’occupazione.
Dal 26 aprile scorso Ankara ha rilasciato circa 300 mila permessi di lavoro con l’obbligo di corrispondere lo stesso trattamento economico riservato ai cittadini turchi. Inoltre il ministero della Salute ha attivato 40 centri di assistenza per migranti in tutte le province in cui risiede una comunità di almeno 20 mila rifugiati.

Ad oggi secondo i dati del ministero dell’Istruzione circa 400 mila bambini siriani frequentano le scuole del paese. Ma ve ne sono altri 400 mila che non sono stati ancora inseriti nelle scuole per gravi problemi di carattere logistico e organizzativo dovuti anche carenza di aule scolastiche e di docenti. Il governo turco ha varato un piano in tre anni per l’inserimento di tutti i bambini siriani nel sistema scolastico. Solo in questo modo si eviterà che molti di loro finiscano col lavorare nelle fabbriche o nei campi per contribuire al bilancio familiare.

E’ molto interessante il dato che la maggior parte dei rifugiati che prima dell’accordo tra Turchia e Unione europea volevano andare in Europa, con la chiusura della rotta balcanica e con la certezza di restare bloccati in Grecia, molti di essi hanno cambiato idea.

Le allarmanti notizie che giungono dai paesi dell’Ue col rifiuto sempre più manifesto di accoglierli, e l’allarmante ascesa di partiti destra e del populismo, hanno indotto molti rifugiati a chiedersi se sia davvero opportuno per loro recarsi in Europa. Col perdurare della terribile guerra che imperversa nella Siria molti rifugiati provenienti da quel paese si stanno dunque orientando verso una completa integrazione.

I partiti di opposizione sospettano che i militanti jihadisti che combattono in Siria la guerra civile contro le forze di Bashar al-Assad potrebbero ottenere la cittadinanza, e che un numero così elevato di nuovi cittadini potrebbe alterare la composizione dell’elettorato in alcuni collegi del sudest anatolico a maggioranza curda, a favore di Erdogan e del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, Akp. Nel clima di solidarietà nazionale, che si e’ instaurato dopo il fallito golpe del 15 luglio scorso, sembrerebbe però che questo proposito sia finito nel dimenticatoio.