La Libia si sta sempre più riempiendo di mercenari provenienti dalla Siria. I numeri dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdi) sono chiari: la Turchia ha inviato finora nel Paese nordafricano 10.100 combattenti (per lo più islamisti) in sostegno delle forze del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli contro l’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar. A questi si aggiungeranno entro il 10 giugno 3.400 reclute che si stanno addestrando nei campi turchi.

Solo nelle ultime 24 ore, a rafforzare Tripoli sono arrivati 500 uomini dalla Siria. Bengasi, dal canto suo, non sta a guardare: l’Osservatorio riferisce di 215 mercenari che Mosca (alleata dell’Enl) starebbe reclutando nelle zone controllate dal governo di Damasco per poi spedirli sul fronte con Haftar.

La trasposizione del conflitto siriano in terra libica è sempre più evidente. «Ogni recluta riceve uno stipendio di mille dollari», scrive Osdi che ha invitato la comunità internazionale a «fermare queste operazioni». Pia illusione: nello Stato colabrodo libico ormai non c’è più nessun tipo di controllo.

I mercenari non provengono solo dalla Siria. Secondo un rapporto confidenziale dell’Onu, nell’estate del 2019 un gruppo di almeno 20 contractor di compagnie private tentò di fermare le navi turche dirette a Tripoli per rifornire di armi il Gna. La missione, che poteva contare anche su sei elicotteri da combattimenti introdotti clandestinamente dal Sudafrica e di due gommoni da Malta, fu annullata alla fine per motivi non chiari.

Quel che pare però certo è che a giocare un ruolo da protagonista furono alcune compagnie con sede negli Emirati arabi. Nulla di nuovo in fondo: tre mesi fa una di loro, la Black Security Services, è stata accusata di aver reclutato 300 giovani sudanesi non come guardie di sicurezza negli Emirati come era stato promesso loro, ma per inviarli sul fronte libico.

Tra i mercenari presenti in Libia, un ruolo importante lo svolgono quelli del gruppo russo Wagner il cui proprietario, Yevgeny Prigozhin, si dice sia uno stretto confidente del presidente russo Putin. Impiegati a fianco di Haftar, i 1.200 combattenti (dati Onu) avevano fatto la fortuna di Bengasi. Poi il coinvolgimento militare turco lo scorso gennaio ha rovesciato le sorti della guerra civile.

Le ultime sconfitte militari del generale cirenaico potrebbero ora modificare i piani del gruppo Wagner: domenica i suoi uomini hanno lasciato la città di Bani Walid (170 km da Tripoli) a bordo di tre velivoli dopo essersi ritirati dall’area meridionale della capitale libica. L’ennesimo segnale che l’inerzia della guerra è ormai dalla parte del Gna.

Lo sa bene anche lo Stato Islamico che ieri ha rivendicato l’attentato di sabato contro un blindato delle forze di Haftar nella zona di Taraghin (sud del Paese). L’esplosivo, riferisce il portale al-Marsad, non è stato forte. Ma più che ai danni, è al messaggio che bisogna guardare: nel baratro libico è il jihadismo ad approfittarne.