La risoluzione votata all’unanimità nella notte di ieri dai 15 membri del Consiglio permanente di sicurezza dell’Onu, confermata dal disgelo tra Usa e Iran dopo la telefonata di Obama al presidente Rohani, costituiscono una epocale svolta in Medio Oriente. Anche se molti attori dietro le quinte potrebbero ancora contraddirla. La risoluzione infatti allontana definitivamente ogni ipotesi di intervento armato «umanitario» nella già martoriata Siria, non prevedendo il Capitolo VII della Carta dell’Onu che autorizza l’uso della forza.

Una risoluzione che condanna l’uso di armi chimiche e l’attacco del 21 agosto scorso a Goutha, sobborgo di Damasco, ma non accusa alcuna delle parti, nemmeno il regime di Assad, impegna il governo siriano a consegnare tutti gli arsenali chimici entro la prima metà del 2014 ma senza sanzioni automatiche, convoca a metà novembre la conferenza di pace di Ginevra 2, con tutti gli interlocutori dell’area.E la telefonata del presidente americano a quello iraniano suggella il cambiamento. E’ l’apertura sostanziale – dopo la lontana promessa di Obama nel discorso del Cairo del 2009 – al nucleare civile del quale vuole dotarsi Tehran che, con Rohani, è tornato a ribadire che l’Iran «non vuole l’atomica», non tacendo che in Medio Oriente un solo paese ce l’ha ed è Israele.

Nel giro di dieci giorni siamo passati dai bombardieri americani con i motori rombanti per vendicare la «sicura prova» dell’uso da parte di Damasco di gas sui civili – un casus belli smentito ormai da tante inaspettate fonti e a mezza bocca perfino dai governi dei paesi della Nato – e la ripresa della Guerra fredda tra Mosca e Washington dopo il fallimento del vertice di San Pietroburgo, allo spegnersi dei venti di guerra. Addirittura Damasco ha immediatamente consegnato, senza minaccia militare, la lista delle armi chimiche, dopo il rapporto degli ispettori Onu che pure non accusava nessuno. Perché c’è ancora da indagare, al punto che la risoluzione Onu rinvia già da martedì gli ispettori in Siria.
Per ora i bombardieri franco-americani restano negli hangar delle basi cipriote e del Bahrein. Di guerra fortunatamente restiamo digiuni. Con esplicito riferimento al politicissimo «digiuno» mondiale lanciato da papa Francesco per fermare «la vana pretesa di una soluzione militare».

Ma che è accaduto davvero, visto che tutti, dalla Bonino a Kerry a Israele sembrano prendersi il merito della «consegna agli organismi dell’Onu delle armi chimiche» siriane? La primogenitura, ahimé, è di Putin. Castagne dal fuoco, patata bollente, insalata russa. Ogni metafora vegetal-gastronomica rende appieno quel che è accaduto a partire dal vertice di San Pietroburgo. Perché da lì, dall’«alto grado di sicurezza» sull’uso di armi chimiche da parte di Assad, la presunta prova della giustezza della nuova guerra «umanitaria», l’agenda si è spostata sul nodo delle armi chimiche tout court, il cui possesso non è mai stato misconosciuto o
negato. Anzi, il regime di Damasco, senza minaccia militare, in tutta disponibilità ha già consegnato agli organismi Onu le mappe dei suoi arsenali che funzionari dell’Amministrazione Usa intervistati dal New York Times dichiarano «veridiche». Assad ha fatto capire che quello non è il problema ma la lotta al terrorismo, ai jihadisti e ai qaedisti, e si è mosso con l’assenso dell’alleato Iran, coinvolto nel sostegno a Damasco militarmente, anche attraverso Hezbollah. Tehran ha avuto chiaro fin da subito che ogni intervento militare “umanitario” dell’Occidente in Siria rappresentava una minaccia, alimentata da Israele, contro il suo programma «nucleare civile».

Così Obama è stato costretto ad «aprire all’apertura» russa. Il perché lo ha spiegato lui stesso accettando il rinvio del voto al Senato: «Se si votasse ora – ha ammesso – non sono sicuro che avremmo l’ok all’intervento militare». Obama doveva uscire dall’angolo della sconfitta diplomatica rappresentata da tutte le guerre americane non concluse in Medio Oriente, doveva scartare dalla pressione del militarismo umanitario, ideologia corrente dell’America bipartisan, da John McCain a Hillary Clinton, che gli soffia ancora sul collo. Isolato internazionalmente, perfino nella Nato, con la sola alleanza della Francia – che brutta figura ha fatto Hollande! – dopo la sconfitta parlamentare dell’alleato di ferro Cameron, in scontro aperto con le Nazioni unite; contraddetto dall’offensiva di pace di papa Francesco e, forseper la prima volta, impensierito dalla possibilità che l’esplosione della polveriera mediorientale coinvolgesse Israele; con una opinione pubblica americana arrivata al 63% di no…che doveva fare il Nobel «della pace», se non preparare la pace per fare la pace?

Ora la soluzione politica della crisi siriana è sul campo. Ma sono troppe le ombre che si agitano per negarla. Il fronte, spaccato e in guerra intestina, dei ribelli apertamente contrari a questa soluzione, pronti a nuove, facili provocazioni intorno agli arsenali, lo schieramento sunnita di Arabia saudita e Qatar che armano gli insorti. E, infine, Israele – Obama incontrerà Netanyahu lunedì 30 – preoccupato che ora l’alleato americano nella trattativa con l’Iran esponga il fianco delle atomiche israeliane.

Ma per ora l’intervento militare «umanitario» non ci sarà. Riprende semplicemente la guerra coperta, quella ordinaria di tutti i santi giorni, con aiuti in armi, intelligence e finanziamenti ai ribelli armati attraverso la coalizione «Amici della Siria» (Usa, Francia, Gran Bretagna, Turchia e le petromonarchie saudita e qatariota). Ai vertici tra “Amici” partecipa anche l’Italia. A fare che? Lo chiediamo alla ministra Bonino, bene accetta pacifista dell’ultima ora con Massimo D’Alema.

P. S. Speriamo che i due, vista la soluzione diplomatica della sanguinosa crisi siriana, comprendano che la guerra del 1999, con i bombardamenti “umanitari” della Nato, senza autorizzazione dell’Onu, su tutta l’ex Jugoslavia – richiesti a viva voce dall’esponente radicale e autorizzati dall’ex presidente del Consiglio – poteva, doveva essere evitata. Perché delle due l’una: o era giusta la soluzione militare in Siria anche stavolta, come sostenevano quelli che si sono richiamati al «modello Kosovo»; o era sbagliata anche quella guerra: Milosevic non era certo più «criminale» di Assad, e il casus belli della strage inventata di Racak (42 miliziani uccisi in combattimento fatti passare per eccidio di civili) impallidisce di fronte alle immagini del massacro di Goutha.