Artista, membro dell’opposizione, comunista. E ora in prigione: è il caso dell’artista siriano, Youssef Abdelke, noto in tutto il mondo tanto da vantare opere in esposizione ai quattro angoli del globo, dal British Museum a Londra all’Istituto del Mondo Arabo a Parigi. L’artista 62enne è stato arrestato giovedì scorso ad un checkpoint nella città portuale di Tartus, in compagnia di altri due membri del partito Comunista, Tawfiq Omran e Adnan al-Dibs. Sabato per Abdelke, che è anche membro del gruppo di opposizione al regime del presidente Assad, il National Coordinating Body for Democratic Change, è subito partita una campagna che ne chiede l’immediata liberazione.

A lanciare la campagna su Facebook è stata la moglie regista, Hala Alabdalla, insieme ad amici e parenti: “La sua detenzione può apparire una cosa piccola se comparata alle violenze sanguinose e alla distruzione della Siria, ma è comunque inaccettabile – ha detto la moglie in un’intervista con l’agenzia stampa AFP – Chiunque lavori pacificamente e dall’interno per la rivoluzione contro Assad è sacro e non andrebbe toccato”.

Abdelke, poche ore prima del suo arresto, aveva firmato una petizione insieme ad altri artisti siriani, poeti, scrittori e musicisti, nella quale esprimeva il suo impegno a favore “dei principi della rivoluzione popolare lanciata nel marzo 2011 e che puntano alla creazione di un sistema politico democratico e plurale”. Nella petizione, gli artisti chiedevano la deposizione di Bashar al-Assad e il trasferimento dei poteri ad un governo ad interim sotto la supervisione delle Nazioni Unite.

Non è la prima volta che l’artista finisce dietro le sbarre di una prigione siriana. Come ricorda la moglie, Abdelke “ha trascorso metà della sua vita nelle carceri del regime e in esilio forzato”. Arrestato negli anni Settanta perché membro del Partito Comunista, nel 1981 aveva riparato a Parigi per poi tornare in Siria nel 2006.

“Chi è il genio che ha deciso di arrestare Youssef Abdelke? E come ha convinto se stesso, la sua famiglia, i suoi vicini, tutta la gente di Damasco, della costa, di Aleppo, Homs, Daraa, Idlib, Raqqa, Hassakeh, Deir al-Zour, da Quneitra a Suweida, che la minaccia era incarnata da un solo uomo di nome Youssef Abdelke? – si chiede in un editoriale Ibrahim al-Amin, direttore dell’agenzia stampa Al-Akhbar – Non c’è nulla che giustifichi tale mossa, anche nell’improbabile caso che sia stato arrestato per un errore di identità. Non ci sono giustificazioni per un atto così folle, malizioso, ignorante e brutale”.

Dalla fine degli anni Sessanta, Abdelke ha unito arte e politica, non solo attraverso i suoi dipinti, ma anche attraverso poster, slogan, libri e vignette. Ha fatto del simbolismo il suo modo per esprimere la brutalità della vita, spesso espressa con toni cupi e opere monocolore.