Un dialogo tra sordi. Così uno dei delegati della Coalizione Nazionale Siriana a Ginevra ha descritto ieri il negoziato in corso alla conferenza sponsorizzata da Mosca e Washington: da una parte Damasco che non intende cedere sulla presidenza di Assad, dall’altra le opposizioni che ne pretendono le dimissioni a favore di un governo di transizione che conduca il Paese alle elezioni.

In mezzo resta la popolazione civile e una crisi umanitaria dalle proporzioni sempre più drammatiche. Il dubbio con cui si è conclusa ieri la giornata di negoziato svizzero è come gestire l’apertura dei corridoi umanitari, dopo l’accordo trovato domenica dalle Nazioni Unite sull’evacuazione di bambini e donne e l’ingresso dei convogli di aiuti internazionali nella città di Homs – una delle prima città a sollevarsi contro Damasco nella primavera 2011. Secondo alcuni delegati a Ginevra, a donne e minori verrà lasciata la scelta tra rimanere in città o andarsene. Andare dove? E quando? Ieri i primi civili avrebbero dovuto lasciare Homs e la Croce Rossa avrebbe dovuto consegnare i primi aiuti, ma sul terreno nulla si è mosso. Il vice ministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad, si è limitato ad accusare i gruppi armati di opposizione di impedire ai civili di abbandonare Homs, da due anni sotto il controllo ribelle e all’esterno sotto l’assedio delle truppe governative.

Il regime di Damasco ha annunciato da subito l’allentamento dell’assedio per permettere l’evacuazione volontaria dei civili e per garantire l’ingresso degli aiuti umanitari internazionali. Non è del tutto chiara la posizione assunta dalle opposizioni: da Ginevra la Coalizione ha fatto sapere di aver ottenuto da parte delle milizie presenti ad Homs garanzie sul rispetto del cessate il fuoco, sottolineando però di non aver alcuna fiducia nelle promesse del governo di Damasco.

Uno scambio di accuse che certo non facilita l’eventuale tregua nella città assediata e che non scioglie i dubbi sul destino dei tanti civili che vorrebbero lasciare Homs: in quale direzione? Con quali aiuti e garanzie di sicurezza? La stessa preoccupazione è stata espressa da Talal Barrazi, governatore di Homs, che ieri ha chiesto all’Onu a quale destino verranno lasciati i civili che decideranno di lasciare Homs. A ciò si aggiunge la questione della “lista di nomi” richiesta da Damasco per permettere l’uscita degli uomini: il regime vuole la prova che non si tratti di combattenti ribelli. In cambio della lista, le opposizioni chiedono garanzie: il timore è che la lista richiesta dal governo venga utilizzata per compiere ulteriori arresti una volta avviata l’evacuazione.

A pagare le spese dello stallo è la popolazione di Homs, 2.500 residenti sotto assedio da due anni: impossibile reperire medicinali, mentre il cibo comincia seriamente a scarseggiare. «Siamo a un punto critico – ha detto Abu Rami, attivista intervistato da Al Jazeera – La gente non riesce più a trovare il necessario per vivere. Stiamo cercando l’erba per poterci nutrire”.

Sul piano diplomatico il mattatore, a Ginevra, resta l’inviato delle Nazioni Unite Brahimi, protagonista degli incontri a porte chiuse nei primi giorni di conferenza, che ieri ha fatto sedere allo stesso tavolo le due parti. Oggetto del contendere, la soluzione politica e il futuro di Assad. Il gap tra le due posizioni sul concetto di «transizione» appare insanabile: le opposizioni vogliono la testa di Assad, Damasco non la vuole mettere sul tavolo e immagina un esecutivo di “larghe intese” a cui partecipino le diverse anime politiche del Paese. L’invalicabile “linea rossa” che potrebbe condurre al fallimento dei negoziati di pace.

A riscaldare un clima già particolarmente teso è giunta ieri la notizia della probabile ripresa dell’invio di aiuti militari non letali da parte degli Stati Uniti a favore delle opposizioni siriane: equipaggiamenti tecnologici e strumenti per la comunicazione, che non entrano nel Paese da dicembre quando un gruppo armato islamista attaccò un magazzino dell’Esercito Libero Siriano. Secondo funzionari di Washington, gli aiuti passeranno per la Turchia e saranno consegnati nelle mani dei combattenti dell’Els, braccio armato della Coalizione Nazionale. Per Damasco l’ennesima prova della volontà statunitense di armare le opposizioni – per il regime gruppi terroristi – e di ostacolare la soluzione diplomatica.