Salvini schiuma rabbia. «Conte non ha più la mia fiducia», sarebbe sbottato con gli intimi e in queste condizioni non è affatto escluso che, quando mercoledì mattina si riunirà il consiglio dei ministri, i ministri leghisti scelgano lo scontro frontale votando contro la proposta del premier di dimissionare Siri.

LA DECISIONE DEFINITIVA ancora non è presa, ma l’ipotesi di una rottura clamorosa è in campo. Tanto che secondo alcune voci Conte starebbe considerando l’idea di mettere sul piatto della bilancia le proprie dimissioni, in caso di voto contro la sua proposta dei ministri leghisti. In realtà la spaccatura nel governo non implicherebbe automaticamente una crisi che, prima delle elezioni europee, è difficilmente immaginabile. Ma di certo la lacerazione avvierebbe il conto alla rovescia verso la fine del governo.

UFFICIALMENTE il capo leghista limita al massimo le esternazioni, imitato dall’intero stato maggiore. Si affida dunque a una comunicazione anonima informale e laconica ma sufficiente a chiarire che per il Carroccio la questione non è chiusa: «Siri non si dimette e nessuno lo molla».

LA FURIA DELLA LEGA è comprensibile. Il caso Siri tutto è tranne che una «questione locale» come Salvini l’aveva definita a caldo, minimizzando. In ballo c’è la svolta dei 5S e del premier, decisi ora a far valere il loro primato in Parlamento e nel governo. Il premier, anzi, è stato in realtà più ruvido dello stesso Di Maio. Perché se per Di Maio si tratta di ottenere una vittoria campale prima delle elezioni, per l’inquilino di palazzo Chigi l’obiettivo è rimettere al proprio subordinato posto quel vicepremier che troppo spesso gli ha rubato la parte di capo del governo.

LA FERITA È PROFONDA, e nel day after Di Maio continua a battere sullo stesso tasto col tono di un generale vittorioso: «Avevo promesso agli italiani che la questione morale sarebbe stata rispettata. Salvini è intelligente non credo che farà la crisi. In ogni caso se si vota nel consiglio dei ministri noi abbiamo la maggioranza assoluta». Poi boccia in anticipo le ipotesi di rimpasto dopo il voto europeo. I rapporti di forza sono quelli che sono e il leader politico dei 5S non ha alcun interesse a modificarli. Intende anzi farli valere come mai prima d’ora. Di Battista aggiunge il suo carico: «Non mi frega niente della conclusione di questa indagine. Il fatto è politico e Conte lo ha colto perfettamente».

DAL POCO che i capi leghisti si lasciano sfuggire, comunque, qualcosa su quale sarà la strategia futura trapela. «Non ho tempo per le beghe. Conte mi sfidi sulle tasse non sulle fantasie», commenta il Salvini ferito. Si allarga di più Giorgetti: «Sarò io il prossimo dopo Siri? Non so ma sono tranquillissimo. Non si tratta di rompere la coalizione ma di decidere se si vuole lavorare o perdere tempo». L’insistenza dei leghisti sull’esigenza «di lavorare» si traduce con due leggi precise: Flat Tax e autonomie. Sono al palo entrambe per volontà di Conte e dei 5S. Proprio ieri il governatore del Veneto Zaia è sbottato: «Stiamo aspettando dal 2017. Ora basta». Dopo lo smacco subito con il caso Siri, è certo che i leghisti reclameranno massima accelerazione su quei due temi. Ma sarà l’’esito del cdm a dire come i due soci arriveranno, dopo le europee, a quell’appuntamento.

SE SIRI SI DIMETTERÀ in anticipo sul cdm, ipotesi comunque non tramontata, la situazione resterà congelata nell’attuale stato di guerra latente ma non ancora dichiarata sino a dopo le elezioni. Che la Lega escluda le dimissioni di Siri non è di per sé definitivo: nel caso, infatti, le dimissioni devono apparire come una scelta del solo sottosegretario, accettata, anzi subìta, dal suo partito, col quale lo stesso Siri nega esistano tensioni di sorta.

MA SE INVECE LA LEGA voterà contro la proposta di Conte il tavolo del cdm diventerà il confine tra due eserciti in guerra. Forse la situazione sfuggirà di mano provocando una crisi che in questo momento nessuno vuole. Oppure il casus belli saranno, dopo un po’, le tasse, l’autonomia, o il voto sulla Tav. Quando a far valere i rapporti di forza in Parlamento, come ha fatto ieri Di Maio a proposito del cdm, sarà la Lega. Sempre che il governa resista ancora qualche mese.