Sir Shackleton e il suo fotografo, il più grande reportage di tutti i tempi
L'Odissea dell'Endurance Bloccata dai ghiacci il 19 gennaio 1915, la nave inglese affondò il 21 novembre. L’equipaggio sopravvisse in condizioni estreme sul pack più di un anno e mezzo, e fu tratto in salvo dopo aver percorso 3.000 km a piedi o in piccole scialuppe soltanto a fine agosto 1916
Le straordinarie fotografie scattate da Frank Hurley durante la spedizione transantartica imperiale di Sir Ernest Shackleton del 1914-1917 sono ormai note in tutto il mondo. Le sue immagini hanno fornito ai lettori di questa storia eccezionale una prova visiva del disastro che travolse l’Endurance. Congelata nel ghiaccio antartico per mesi, infine schiacciata, lasciando l’equipaggio abbandonato sui banchi alla deriva del mare di Weddell, la sola speranza di sopravvivere era affidata a un viaggio su piccole imbarcazioni per raggiungere Elephant Island.
È una storia talmente sorprendente che senza le foto di Hurley risulterebbe in qualche modo incredibile. Eppure, anche quando ci si trova di fronte alle immagini che sopravvivono a questa storia di dimensioni epiche, si rimane ugualmente stupiti che possa essere realmente accaduta, e che sfidando ogni probabilità l’equipaggio riuscì a sopravvivere. E allo stesso modo, sfidando ogni probabilità, sopravvissero le fotografie di Frank Hurley (…).
Hurley era un fotografo professionista. La sua determinazione nel catturare e documentare il procedere della spedizione sulle sue pellicole è incredibile. Fino all’ultimo momento, subito prima del salvataggio degli uomini di Shackleton su Elephant Island, con solo tre pellicole fotografiche rimaste, Hurley era sempre all’erta, pronto a registrare gli eventi con la sua macchina fotografica. Durante l’intera evoluzione della tragica situazione in cui si trovarono, i membri dell’equipaggio notarono la sua dedizione, il modo in cui era assolutamente coinvolto dal suo lavoro, al punto che preferiva scattare delle foto piuttosto che giocare a calcio! Ma fu proprio grazie a questa sua totale dedizione all’arte fotografica, alle sue conoscenze e all’esperienza del mestiere che abbiamo ricevuto una così incredibile e grandiosa eredità (…). Senza alcun dubbio la vicenda dell’Endurance è talmente avventurosa da lasciare senza fiato, ma non è solo la storia che rende queste immagini importanti.
Le foto stampate in questo libro (vedi scheda) sono il prodotto di un fotografo estremamente dotato e attento, i cui scatti non sono mera documentazione di un evento avvenuto, ma opere d’arte attentamente costruite.
Prima di salpare per l’Antartide, Hurley mise insieme tutti i suoi attrezzi, dalle macchine fotografiche che supportavano lastre di grande formato alle lampade per il flash al magnesio necessarie per le sue fotografie notturne. Allestì una camera oscura a bordo dell’Endurance e quando non era occupato a scattare foto era all’opera lì dentro, sviluppando e stampando negativi. Era un artista che conosceva gli attrezzi del mestiere e li usava per creare immagini eccezionali e destinate a durare.
Le condizioni nelle quali creò queste immagini erano estreme, eppure sembra che Hurley si sia messo in pericolo più volte per seguire la sua passione e cercare di ottenere l’immagine perfetta.
Lui stesso descrive questi episodi nel libro Argonauts of the South: «Perso nel mio entusiasmo per garantirmi una documentazione di questi sforzi e della nave che attaccava i ghiacci, mi salvai per miracolo una volta che stavo per morire schiacciato: mentre mettevo la mia macchina fotografica in una custodia a tenuta stagna, rimasi fermo in piedi su un banco di ghiaccio proprio davanti alla prua della nave che avanzava in quella direzione» (…).
La fragile bellezza di luce e buio rivelata da un negativo su vetro è già di per sé qualcosa che provoca un meravigliato stupore, ma il fatto che questi negativi abbiano viaggiato attraverso mari così ghiacciati e tempestosi li eleva a un piano ancora superiore. Sono ancora intatti, ancora meravigliosi e ancora capaci di produrre delle ottime stampe fotografiche a quasi cento anni di distanza. Se è così è esclusivamente per merito di Hurley e della sua abilità.
Ed è merito di Shackleton e del suo equipaggio se esistono ancora, perché devono esserci state diverse occasioni durante la loro difficile esperienza in cui caricarsi il peso delle lastre di vetro e delle pellicole deve essere apparso secondario rispetto alla loro stessa sopravvivenza. Anche durante il viaggio insidioso dai banchi di ghiaccio a Elephant Island, quando le piccole imbarcazioni erano pericolosamente troppo immerse nell’acqua e dovettero scaricare in mare tutte le cose non essenziali (comprese alcune preziose scorte di cibo), decisero di tenere le foto e i negativi di Hurley.
Guardando quegli scatti, si inizia a capire quanto fossero pronti al sacrificio per proteggerli (…).
I testi e le foto sono tratti da «Shackleton in Antartide», 288 pp., 29 euro, Nutrimenti. Pubblicati qui per gentile concessione dell’editore.
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