Oggi è il grande giorno. A più di tre settimane dal voto, vengono finalmente inaugurate le Cortes di Madrid: il Congresso dei deputati e il Senato. Nella serata di ieri si è anche risolto il primo scoglio della legislatura: l’elezione del presidente. Per il Senato, chiave per un’eventuale riforma costituzionale, è tutto chiaro: il Partito popolare ha la maggioranza assoluta e presidente sarà di nuovo Pio García Escudero.

Per il Congreso, invece, il Pp ha fatto finora finta di credere che, in quanto partito maggioritario, gli spettasse la presidenza. Impossibile però ricevere la maggioranza assoluta dei 350 deputati in prima votazione. Alla seconda partecipano i due più votati e pertanto il Psoe partiva già avvantaggiato per il previsibile non appoggio degli altri al Pp.

Nonostante questo, Pedro Sánchez ha negoziato fino all’ultimo con gli altri partiti la composizione dell’ufficio di presidenza per assicurarsi gli appoggi necessari. È bastato promettere a Ciudadanos un posto in più perché gli esponenti del partito affine al Pp si sciogliessero in lodi sperticate del socialista Patxi López, ex presidente basco, considerato «molto dialogante».

Alla fine, l’ufficio di presidenza sarà composto da 3 membri del Pp (di cui due vicepresidenti), due socialisti (presidente e un vicepresidente), due per Podemos e Ciutadanos. Pp e Ciutadanos dunque avranno la maggioranza di 5 su 9 membri.

Per il momento Podemos non ha accettato il patto dato che gli altri hanno respinto la richiesta di formare 4 gruppi parlamentari – Podemos solo e le tre piattaforme in Galizia, Catalogna e paesi Baschi – con un’interpretazione molto restrittiva del regolamento. Il partito viola ha già fatto sapere che sono disposti a rinunciare ad alcuni dei privilegi (finanziamento e tempi di intervento nei dibattiti) pur di poter mantenere la promessa fatta in campagna elettorale.

Ieri sera il Psoe sperava ancora di poter coinvolgere Podemos nell’accordo, mentre Podemos faceva sapere che questo era il primo passo per poter iniziare conversazioni anche sul futuro governo.

Il Psoe dunque sta finalmente assumendo la centralità politica che la geometria elettorale gli imponeva. Ieri Sánchez diceva di essere contento perché in questa legislatura il parlamento riacquisterà protagonismo, e ha già proposto agli altri partiti un pacchetto di 15 iniziative legislative, con l’idea di riuscire a ottenere gli appoggi necessari per presiedere il governo di quella che comunque sarà una legislatura breve. Fra queste, la derogazione delle riforme più odiate del Pp: quella del lavoro, quella educativa; il recupero dell’universalità della sanità; l’introduzione di un salario minimo vitale; un patto sulla violenza di genere; una riforma fiscale, un piano contro la povertà energetica; uno sulla scienza; svincolare la radiotelevisione pubblica dai nefasti legami politici di questi anni con il Pp; e una riforma del regolamento, quanto mai necessario in questo nuovo panorama politico multipolare. Izquierda Unida, coi suoi due deputati – anche loro sperano in una interpretazione lasca del regolamento per poter ottenere gruppo parlamentare – ha già fatto sapere che appoggerà misure sociali.

Dopo il tentativo di rito di Rajoy di formare il governo, che fallirà, la strada di Sánchez sarà però tutta in salita. Il Pp ha 123 deputati, il Psoe 90. Senza almeno il voto favorevole di uno fra Ciudadanos (40) o Podemos e alleati (69), e l’astensione dell’altro, e di qualche altro gruppo più piccolo, non ce la può fare. Ma, dopo la visita di Sánchez la settimana scorsa al suo omologo portoghese che è riuscito nel miracolo di una coalizione a tre di sinistra, si inizia a intravedere un insperato spiraglio. La formazione del governo catalano – Carles Puigdemont ha rilevato Artur Mas ieri sera alle 7 – certamente ha aiutato.

Segnali arrivano anche da altri fronti. La sindaca di Barcellona Ada Colau, che guida una delle coalizioni alleate di Podemos, ha chiesto al Psoe, dato che non vogliono sentir parlare di autodeterminazione e di referendum, di fornire qualche alternativa concreta «con testa e occhi» per poterne parlare.

Chi proprio non sembra collaborare a distendere il clima fra Madrid e Barcellona è Filippo VI. Dopo lo sgarbo di non aver ricevuto la presidente del Parlament catalano per firmare il decreto di nomina di Puigdemont, ha fatto pubblicare in gazzetta il provvedimento senza i ringraziamenti di rito a Mas. Un trattamento riservato finora solo all’ex ambasciatore in India dimessosi per uno scandalo di tangenti a dicembre.

Il nuovo governo catalano prenderà forma oggi. Avrà 13 «consiglieri», di cui 9 nuovi. Età media 46 anni (erano 56 con Mas), 5 donne. Escono alcuni fra i ministri più criticati (sanità, educazione, impresa), entrano sei esponenti di Esquerra Republicana, fra cui il segretario Oriol Junqueras, vicepresidente unico.