Non è il caso di farsi depistare dalla definizione molto understatement che ne dà la “call” («appello», «chiamata alla partecipazione», la leggerete su manifesto.info). Che recita: «Uno strumento a disposizione di attiviste ed attivisti, reti organizzate, esperienze civiche, movimenti sociali, persone, cittadini con l’obiettivo di mettere la rete al servizio di un progetto di cambiamento».

«Commo», così si chiama la piattaforma digitale che in una sua versione beta (base) sarà online fra poche ore, è già un oggetto del desiderio, cioè dell’immancabile dibattito a sinistra. Sabato mattina sarà il tema di un’intera sessione dell’assemblea Cosmopolitica, Palazzo dei Congressi di Roma, per affondo su «democrazia, rete, la sfida politica del digitale».

 

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Commo è un’innovazione assoluta nella sinistra italiana, al netto dell’esperienza pioniera ma quasi opposta del blog di Grillo. È ispirata ad altre esperienze simili in Europa. Ma è diversa.

È una piattaforma open source, a differenza di quella di Podemos, e a differenza di quella del partito Pirata tedesco sarà friendly, semplice da usare.

Non è solo un sito. Sarà un social network, ma non solo. Nelle reali, forse anche realistiche ambizioni di chi la sta costruendo, «Commo» sarà «uno strumento che accompagna il processo costituente» della sinistra italiana. Ma il suo progetto fa pensare a una sede, una vera casa. Online.

Una sede in cui il soggetto – il partito – occupa però una parte dell’open space digitale. Sarà tutto da vedere se sarà la parte più grande.

Partiamo dal nome. Commo, parola del greco antico indicante il dialogo fra il coro e gli attori, qui invece è un suono che «richiama l’immaginario dello spazio comune, un esperimento prezioso in tempi avari di partecipazione politica ma anche culturale e sociale», spiega Roberto Iovino, nella vita nell’ufficio legale della Cgil ma qui nella veste di uno dei responsabili del progetto insieme a Betta Piccolotti, consigliera comunale a Foligno e della segreteria di Sel.

Da mesi, da vari accessi in rete (le case di ciascuno, le stanze della sede di via Arenula, gli iPad sul treno fra un trasbordo e l’altro) la «piattaforma integrata» viene sviluppata in modo tale che da una parte «fornisca strumenti al soggetto politico e ne favorisca la crescita» (Piccolotti), dall’altra «movimenti, collettivi studenteschi, associazioni, comitati potranno usarla come strumento integrato per discussioni, votazioni, decisioni, crowdfunding» (Iovino). La lista «Torino in comune», per prima, la userà per scrivere il «programma partecipato» per le amministrative.

[do action=”citazione”]Ogni soggetto potrà utilizzare Commo senza che questo lo impegni con l’inquilino ’politico’.[/do]

Per accedere all’altra metà della schermata invece, ogni nuovo iscritto insieme alla sua tesserà riceverà username e password. Piccolotti: «La piattaforma sarà innanzitutto la possibilità di far tornare alla partecipazione politica tantissime persone che sono state espulse dalle riunioni infinite, dagli orari infrequentabili per esempio per chi ha figli. Qui si potranno svolgere le discussioni, anche le votazioni. Magari a voto palese, in modo che ciascuno nel suo profilo non conservi solo quello che ha scritto ma anche quello che ha votato. Con votazioni certificate e non taroccabili. A ciascuno arriverà un sms di verifica».

Qui, naturalmente, c’è un primo nodo delicato, lo dimostrano le perplessità, anche le resistenze che circondano «la creatura» già prima della nascita.

Sul rapporto fra rete e politica pesa la deriva autoritaria del blog di Grillo. Pesa la ponderosa letteratura sulla separazione fra reale e virtuale.

L’obiezione, a grandi linee, è: con Commo il nuovo soggetto tenderà alla virtualità, privilegerà la rete, si distaccherà dalla vita reale e agra, proprio oggi che anche chi ci ha già provato – Podemos in Spagna, Grillo in Italia, Piraten in Germania – ne misura già i limiti? «Il problema non si porrà. I circoli continueranno a discutere, solo avranno uno strumento in più. Ma è chiaro che il mix fra realtà territoriali e rete è una scelta politica e dunque formula tutta da decidere nel nuovo soggetto. Commo non sarà sostitutiva delle realtà militanti, ma integrativa», rassicura Piccolotti. E però Iovino chiosa: «Se poi qualcuno teme che Commo finisca per mettere in discussione certi vecchi cerimoniali consolidati, io personalmente rispondo: speriamo».

E qui arriviamo a un altro nodo sensibile. La tecnologia non è neutra, la sua gestione è potere. Trasparenza e democrazia sono due concetti molto relativi, online come offline.

Anche qui, vedasi ancora il caso Grillo, proprietario del suo mega-blog e quindi del suo movimento. Chi avrà le ’chiavi’ di «Commo»? Piccolotti: «A Cosmopolitica presenteremo il progetto che abbiamo sviluppato sulla base del mandato che Sel aveva dato a me già da tempo, da responsabile della comunicazione. Ma poi starà al nuovo soggetto, cioè a tutti noi, deciderne la responsabilità politica». A lavorarci, racconta, è un gruppo di ragazzi e ragazze, per lo più volontari. A regime faranno i turni.

A proposito, i costi. «Alcune decine di migliaia di euro fin qui, impiegati solo per lo sviluppo del sofware. Il resto è lavoro volontario», spiega Piccolotti. Altre fonti interne a Sel parlano di una cifra più alta, che bordeggia i 100mila euro, ma non ci sono conferme. I soldi investiti, spiega Piccolotti, vengono dai 100.991 contribuenti che hanno destinato il loro 2 per mille dell’Irpef a Sel, per il ragguardevole totale di 881.588 euro.

Ma, una volta sviluppata la piattaforma, Commo sarà low cost. «La moderazione delle discussioni sarà minima, giusto il necessario per cancellare gli insulti e stimolare il dibattito». Per il resto sarà apertissima: chiunque potrà scrivere, più riceverà commenti e interazioni più potrà essere visibile, «è una garanzia democratica, nessuna moderazione potrà censurarlo o nascondere nessun dissenso, come invece adesso può accadere nei siti dei partiti», giura Iovino. «Chiunque potrà proporre un tema e trovare nella piattaforma la sua amplificazione. O la possibilità di fare una consultazione».

La scommessa è che la partecipazione faccia crescere la politica. O viceversa. Possibilmente non solo online.