È con una certa preoccupazione che il Partito dei lavoratori, la principale forza della sinistra brasiliana, guarda alle elezioni municipali di oggi. Se gli ultimi sondaggi venissero confermati, il Pt resterebbe fuori dai ballottaggi di quasi tutte le capitali, a eccezione di Vitória (con João Coser) e – se va bene – di Fortaleza (con Luizianne Lins) e Recife (con Marília Arraes).

E, soprattutto, rischia di pagare caro la scelta di non sostenere già al primo turno, a São Paulo, la candidatura forte di Guilherme Boulos, in coppia con Luiza Erundina, per il Psol, continuando a puntare su un oscuro candidato senza alcuna chance di arrivare al ballottaggio come Jilmar Tatto, malgrado le pressioni giunte da ogni parte su Lula e sul partito.

Una decisione, questa, tanto più incomprensibile a fronte della sua alleanza, in circa 140 municipi, con l’estrema destra del Psl, il Partido Social Liberal con cui Bolsonaro è arrivato alla presidenza (per poi abbandonarlo).

E benché al secondo turno l’alleanza tra le forze progressiste sia fortemente caldeggiata da un po’ tutti, a cominciare da Lula, la mancata creazione di un fronte elettorale di sinistra – fallita anche a Rio, dove il Psol non sosterrà la candidata del Pt Benedita da Silva – rende enormemente più complicato l’accesso al ballottaggio.

Non stupisce che la sinistra abbia così poche carte da giocare, a parte Boulos, che occupa nei sondaggi un precario secondo posto dietro il bolsonarista Celso Russomanno, e soprattutto Manuela D’Ávila del PCdoB a Porto Alegre ed Edmilson Rodrigues del Psol a Belém.

Ma soprattutto l’incapacità della sinistra di accantonare divisioni e personalismi di fronte al nemico comune – un nemico, per di più, come Bolsonaro – getta una luce inquietante anche in vista delle presidenziali del 2022.

Per quanto infatti Lula si dica pronto a sostenere tra due anni anche un candidato esterno al suo partito, il mancato appoggio a Boulos, che pure lo ha sostenuto con forza durante tutta la sua battaglia giudiziaria, toglie credibilità al suo annuncio.

Neppure per Bolsonaro, in realtà, le elezioni municipali si annunciano facilissime, considerando che, senza un partito in grado di organizzare la sua base di appoggio (la sua nuova forza politica, Aliança pelo Brasil, è rimasta sulla carta), i candidati a lui vicini stentano quasi tutti e lo stesso Russomanno sembra aver perso molti consensi. Per questo il presidente ha preferito assumere un basso profilo rispetto al voto di oggi.

Non mancano però alcune belle novità, come quella del boom – a cui non è estraneo l’«effetto Marielle Franco» – delle candidature di donne nere (23% in più che nel 2016), e il sorpasso dei candidati neri rispetto ai bianchi.

E soprattutto quella delle cosiddette candidature collettive, un promettente meccanismo di origine popolare in base a cui, se legalmente il candidato resta unico, il suo programma e l’attività politica post-elettorale saranno invece responsabilità di tutto il suo gruppo (con tanto di suddivisione, in molti casi, del salario e degli interventi in consiglio comunale). Con innumerevoli vantaggi in termini sia di difesa degli interessi popolari che di un provvidenziale rilancio del lavoro di base.