Il progetto di costruire un nuovo partito della sinistra italiana procede faticosamente; da una parte, c’è un’attesa diffusa, che rischia di essere frustrata: dall’altra, le cronache politiche si soffermano sulle schermaglie tra i vari gruppi che dovrebbero dar vita al processo costituente. Un osservatore esterno, per quanto partecipe, non può che restare perplesso; e così pure le migliaia di potenziali aderenti. Beninteso, i problemi da risolvere sono obiettivamente tanti e complessi, ma non si può pensare di risolverli tutti e subito: un concreto avvio del processo costituente del partito (un partito, non una qualche altra vaga formula) appare urgente, se si vogliono incanalare e valorizzare energie e volontà.

Tra le questioni da affrontare, ancora largamente irrisolta è quella della cultura politica del nuovo soggetto, ossia di quell’insieme di idee e di principi, schemi interpretativi e modelli valutativi, che costituiscano una cornice condivisa e riconoscibile, sia per chi che al partito aderisce, sia per coloro che ad esso possono guardare con interesse. Il richiamo alle ragioni della sinistra, per quanto necessario, non è sufficiente: che tipo di partito si vuole? Posto che un partito di mera testimonianza, per quanto nobile, oggi non ha alcuna potenzialità espansiva, quale potrebbe essere il profilo ideale, politico e programmatico, del nuovo soggetto?
Per cominciare ad abbozzare una risposta, forse è opportuno, anche in modo provocatorio, dare qualche modesto consiglio. Intanto, si lasci da parte la «carta dei valori»: la si scriva pure, se si vuole, ma sapendo che serve a poco. In genere, non la legge nessuno (qualcuno si ricorda la carta dei valori del Pd, faticosamente elaborata nel 2006-7?). Si può anche scrivere di riconoscersi nei valori della «libertà, dell’uguaglianza e della fraternità», o nel «valore del lavoro»… già, e poi? «Libertà» e «uguaglianza» sono parole terribili, che riempiono intere biblioteche, ma resta per intero il problema di capire in che modo, ad esempio, un ideale egualitario si possa tradurre in un determinato programma politico.
Un partito non è una creatura effimera se è in grado di proporre un proprio discorso pubblico, ossia un insieme di idee capaci di orientare e formare l’opinione pubblica, di farsi «senso comune», e di misurarsi efficacemente con altre idee. E il discorso pubblico di un partito si articola attraverso tre livelli, tra loro strettamente legati:

1 Il primo è quello che possiamo definire una «filosofia pubblica»: non un ideale, o un modello astratto della società futura, ma un insieme di idee e di schemi interpretativi sulla società presente, sui suoi conflitti, sui potenziali mutamenti. Un partito si radica e ha una funzione se riesce ad alimentare un dibattito politico e culturale che faccia emergere visioni alternative e diverse del «bene comune» o dell’«interesse generale», diversi sistemi di idee e di immagini della società e delle finalità del suo possibile sviluppo, a cui una comunità politica può ispirarsi.

2 Il secondo è quello che possiamo definire il «profilo programmatico», su grandi questioni e grandi aree di problemi: ad esempio, un’idea del welfare, dei suoi principi, di come concepire e orientare le sue finalità e la sua gestione.

3 Il terzo livello è quello delle «politiche», cioè delle specifiche proposte con cui si articolano una «filosofia pubblica» e un «programma».

Ebbene, il nuovo partito sarà in grado di dire qualcosa su ciascuno di questi livelli? Certo, è un compito di lunga lena, non si può essere troppo esigenti nell’immediato. E non bisogna cedere alla demagogia imperante della comunicazione facile: per rispondere adeguatamente occorrono studi, analisi, documenti anche ponderosi e faticosi. Occorre partire da un documento politico, articolato e ben strutturato, sulle cui singole tesi o formulazioni si possa discutere, nero su bianco, proporre modifiche, facendo anche emergere le differenze che certo si può facilmente prevedere esistano, ma che è bene circoscrivere dentro una cornice condivisa. Ma, per questo, occorre predisporre subito le sedi in cui queste cose possano essere discusse e studiate. Ed anche per questo è necessario avere subito una qualche idea sulla forma del partito, cioè sul modo con cui il nuovo partito discute ed elabora «filosofie», «programmi» e «politiche»: non si può pensare che queste idee possono essere partorite da uno stato maggiore più o meno illuminato. Possono essere solo il frutto di una mobilitazione diffusa di idee, reti intellettuali, competenze ed esperienze. E la responsabilità dello «stato maggiore», da questo punto di vista, è decisiva: nel consentire, favorire e organizzare questa mobilitazione.