Una riunione dopo l’altra, tre in due giorni, per dirsi che bisognerebbe restare uniti e capire che uniti non si è, non si era, e quindi non si può restare. Martedì sera alla camera Gianni Cuperlo ha riunito la sua area. Ieri mattina, al Nazareno, ha parlato con i suoi più stretti. E di nuovo ieri sera a Montecitorio, sulle riforme. Ma la minoranza sconfitta alle primarie (che aveva ben otto anime: bersaniani, giovani turchi, Laboratorio, dalemiani in purezza, ex mozione Marino, lettiani, bindiani e rari nantes popolari) oggi alla prima direzione dell’era Renzi – in diretta streaming su Youdem, per fortuna, come ai tempi di Veltroni – si presenta i suoi 24 rappresentanti in ordine sparso. Sul jobs act, sulla legge elettorale, sul governo, persino sulla data dei congressi regionali che Renzi vuole concentrare in un solo giorno e Cuperlo invece far celebrare in date scelte da ciascuna regione.

Le differenze sembrano sfumature, ma solo a prima vista. Sull’esecutivo: «O diventa il governo anche di Renzi o non va avanti. Non si è mai visto un esecutivo sostenuto dalla minoranza interna di un partito e non dalla maggioranza del segretario», spiegano all’uscita della prima riunione. Oggi in direzione i bersaniani chiederanno l’ennesima «prova d’amore», l’ennesima rassicurazione sulla durata dell’esecutivo. La verità però è che non c’è giuramento che conti per chi è convinto che il segretario non dica le sue reali intenzioni. Sulla legge elettorale, spiega il bersaniano D’Attorre, «la maggior parte di noi è per il doppio turno e senza liste bloccate. Non vorrei che Berlusconi e Renzi si mettessero d’accordo per un sistema, come lo spagnolo a liste bloccate: così scelgono di nuovo chi mettere in lista». Ma i giovani turchi preferirebbero il sistema ispano-tedesco proposto da Roberto Gualtieri, «siamo sempre stati parlamentaristi. O adesso dobbiamo farci dettare la linea da Alfano?», replica Matteo Orfini.

D’Attorre avverte Renzi anche sul futuro confronto con Berlusconi: «Leggo di possibili incontri addirittura al Nazareno. Immagino che Renzi sarà cauto su mosse che possano resuscitare politicamente Berlusconi e che non vorrà incontrare un pregiudicato nella sede del Pd». Il renziano Federico Gelli ironizza: «Ricordo che la precedente segreteria del Pd, di cui D’Attore faceva parte, con il pregiudicato Berlusconi ha fatto addirittura il governo insieme». E il turco Orfini rincara la dose: «C’è chi parla al grillismo che c’è in noi. Cerchiamo di non fare guerriglia sulle scemenze. Con Berlusconi, come con tutti, dovremo parlare». Sul jobs act, invece, l’ex area Cuperlo è compatta: «Fin qui solo titoli, ma ne mancano alcuni fondamentali». E però si è mossa per osservanze: i turchi hanno prodotto un documento-stroncatura per primi, l’ex ministro Fassina ha mosso le sue critiche sui giornali, Cesare Damiano ha inviato le sue note a Renzi.

Segnali di un ’rompete le righe’. Di strade diverse fra chi vuole che la sinistra non si riduca una «una corrente» o «una ridotta» ma sia «lievito del Pd» (Orfini, che per questo incassa i complimenti di Goffredo Bettini, già veltroniano ora con Renzi). E chi vuole «ricostruire la cultura politica del Pd», leggasi rilanciare la sinistra (Fassina). Ieri, all’appuntamento del Nazareno, Cuperlo si è sentito ripetere: se resti «la guida non dell’opposizione ma della sinistra Pd, l’area può sopravvivere». In caso contrario, sarà tana libera tutti.

Ammesso che il tana libera tutti non sia già scattato. Ieri alla camera Fassina, insieme ad altri cinque, si è astenuto sulla mozione sul fiscal compact di Sel, sulla quale il governo aveva fatto calare il suo parere contrario e il Pd ha votato contro. Sarcastico il renziano Ernesto Carbone: «Fassina vota contro il gruppo, in dissenso dal gruppo. Per di più su questioni economiche, dopo essere stato mesi al governo e responsabile economico del Pd. Dopo le spiegazioni delle dimissioni da viceministro mi auguro che il già viceministro spieghi al partito le motivazioni che lo hanno spinto a votare così. Magari scopriremo che le dimissioni erano in realtà perché in netto dissenso con le politiche economiche del governo e quindi in dissenso con se stesso». Silenzio dal resto della sinistra Pd, presente in forze in parlamento. Ma è un silenzio eloquente e non solidale. «La mozione di Sel era ragionevole e mi sono astenuto. Punto», la chiude Fassina. Per il momento.