Alla fine ci sono quasi tutti, al raduno degli sconfitti della sinistra Pd, in un teatro Ghione di Roma strapieno, chiamati dall’ex candidato Gianni Cuperlo, considerato «di un’altra fase» dai suoi stessi dirigenti, e che ora invece si rilancia come federatore delle anime disperse della minoranza. Un popolo acciaccato, confuso e infelice. Che però conta «quasi la metà del partito», ricorda Massimo D’Alema dal palco. Un popolo, e un gruppo dirigente, sul quale è passato prima il «ciclone Renzi» delle primarie, poi il premier «torrente impetuoso» e «rullo compressore» delle prime settimane di governo, quello che chiunque lo critica è «palude» e «conservazione». La platea è affollata di storie difficili, quella di Franca che ascolta i suoi sul palco e sospira «troppo tardi», quella di Fabio, di Bagni a Ripoli, che ha lasciato il Pd, «i renziani non ti fanno toccare palla». Persino Patrizio Mecacci, il giovane coordinatore delle primarie, ammette lo scoramento, e di aver «ripreso a studiare».

Erano tutti scettici su questo appuntamento lanciato in solitaria da Cuperlo, ma alla fine sono arrivati in molti. La costituenda area dei ’riformisti’ è presente in forza, Bersani, Epifani, D’Attorre (ma il lancio della nuova corrente sarà il 28 aprile). C’è il lettiano Francesco Boccia. L’eurocandidato Stefano Gualtieri, che apre la kermesse (indicazione di voto inequivocabile). Stefano Fassina dal palco, durissimo sul Def. I giovani turchi invece non sono (più) di questa partita, mandano in visita di cortesia il portavoce Francesco Verducci. Pippo Civati non c’è, è sempre stato di un’altra sinistra. C’è però Vannino Chiti, capofila dei ribelli del senato, che non ritira la sua riforma (qui invece si considera il ddl governativo una «base di discussione»). C’è persino Goffredo Bettini, eurocandidato del «campo democratico», area però è vicina a Renzi.

L’obiettivo è consolare, rinfrancare e magari dare qualche indicazione sulla strada da percorrere, ora che il «torrente impetuoso» è in piena e sembra scattato il si salvi chi può. Un D’Alema in forma smagliante ammette: mai stato in minoranza, e non ci si trova bene, «ma non si può essere in maggioranza con le idee degli altri». Cuperlo lancia un nuovo inizio attraverso «comitati promotori di una sinistra democratica e rinnovata». Ha invitato anche alcuni ’esterni’, come don Massimo Mapelli della Caritas di Milano, e Pietro Crosta, direttore di Banca Etica, gente che dovrebbe trovarsi sulla stessa strada futura del Pd (ma non in quello di Renzi).

L’ex candidato non voleva trasformare la convention in una contro-apertura della campagna elettorale del Pd. Ma il calendario ha una sua inequivocabile evidenza. E così mentre Renzi a Torino lancia la corsa delle europee spiegando che «la sinistra che non cambia è destra», dal palco del Teatro Ghione Cuperlo ammette che «la sinistra esiste se è capace di rinnovarsi». Sembrano d’accordo, invece i due sostengono cose opposte, benché a Roma tutti si sbraccino a giurare che «bisogna sostenere il governo». Lo stanno facendo, anzi stanno facendo solo questo. E così sarà fino al 25 maggio, che è la data spartiacque per la ripresa della battaglia interna, al netto dei nuovi scenari post-voto. Ma la tesi del Ghione è che «le norme della destra non diventano giuste se a proporle siamo noi», leggasi decreto Poletti sul lavoro, Italicum e anche un po’ (ma meno) riforma del senato.

Fa nulla se l’Italicum ha già incassato il sì della camera. Perché se la sinistra Pd ha una dote inesauribile, è l’analisi puntuale dell’errore passato ma la puntuale perseveranza nell’errore presente. Pierluigi Bersani, al suo primo intervento dopo l’operazione, indica l’Italicum come un Piave: ci sono «sette-otto cose da correggere», ci scherza, «non è serio che uno ottiene il premio di maggioranza mettendo insieme liste che non possono eleggere nessun. E da lì con il 52% quei parlamentari nominano il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale essendo quei parlamentari abbastantanza nominati anche loro».

Dopo di lui D’Alema: l’Italicum va cambiato, «del resto l’ha scritto Verdini, non un club di illuminati». L’altro fronte è il partito, o quello che sarà nell’era Renzi, ovvero quella della fine del finanziamento pubblico: «Un comitato elettorale del leader». La proposta: «Questo partito lo dobbiamo far funzionare noi, dobbiamo aprire i circoli e fare il tesseramento anche se non si stampano più tessere. Sarebbe un atto importante se la minoranza stampasse le tessere del Pd. Non lo possiamo lasciarlo morire e spegnere. Bisogna lanciare una sfida alla maggioranza: noi ci siamo, speriamo ci siano anche loro».