A proposito di Marx. Alcuni interventi sul Manifesto, prendendo spunto dalla recente ripresa di studi su Marx, hanno riproposto la discussione su teoria critica e politica. Rossana Rossanda è tornata sul problema del “soggetto ‘rivoluzionario’”, oggi che la classe operaia tradizionalmente intesa pare non più centrale nel processo produttivo come una volta.

Paolo Favilli ha giustamente invitato a non indulgere nelle teoriche, quelle sì superate oltre che esiziali, dell’autonomia del Politico, perché comunque ancora oggi la “soggettività” si definisce a partire dalla “collocazione economico-sociale”. In altre parole anche nel tempo della globalizzazione “le ragioni dell’opposizione tra capitale e forza lavoro hanno le loro radici all’interno del rapporto di produzione”. Critica politica e critica del capitalismo continuano a presupporsi. E il problema della soggettività politica della sinistra va ripensato a partire da qui.

Vero questo, però non capisco perché Favilli sostenga che “non esiste un sistema di Marx”, deducendolo dal fatto che il Capitale è uno studio “non-finito”.

Marx non lo finì perché morì prima di terminarlo (tanto che i libri secondo e terzo, incompiuti, furono pubblicati da Engels e Kautsky), ma l’impianto dell’opera è radicalmente sistematico. Favilli parla di “un ‘non finito’ strutturalmente necessario”, ma è proprio questa necessità strutturale il sistema. Sistema del divenire sociale e quindi politico. Marx era troppo allievo di Hegel per non sapere che secondo la Fenomenologia “la verità si realizza solo come sistema”.

Di un Marx ‘minimalista’ non abbiamo bisogno. Oggi meno che mai.