Leggere il saggio di Ciccio Ferrara oggi, a giochi politici ormai fatti, dà la straniante sensazione che vi si parli di una sinistra che ha un grande avvenire alle spalle. Ferrara era, nel tentativo di Pisapia, un silenzioso costruttore di ponti a sinistra. La barra era ambiziosa: rileggere gli errori degli ultimi trent’anni per uscirne in una sinistra contemporanea e utile. Tentativo fallito, leader rovinosamente evaporato, in campo ora c’è un’opzione potremo dire meno introspettiva. Ma la cultura dell’autore non indulge allo sconforto. Il campo della sinistra è un campo di macerie, è vero, ma «La sinistra è un fiore di campo» – questo il titolo del libro (Ediesse, 110 pp, 12 euro) tratto da una delle rinomate metafore di Bersani – e i fiori di campo sono insopprimibili: anche a dispetto dei giardinieri stolti.

Ferrara racconta la sua storia di operaio «specie ormai senza scampo, considerata in rapida e irreversibile via di estinzione, per ogni robot che entra in fabbrica escono sei lavoratori». Fino al parlamento (ex Prc, in questa legislatura è stato deputato di Sel), sempre con i piedi piantati nella sua terra: l’Alfasud di Pomigliano, l’Alenia, la Camera del Lavoro, il “piennolo” e il San Marzano. Non è un caso che oggi il libro sarà presentato a San Vitaliano, Napoli, con Laura Boldrini e Antonio Bassolino. Ferrara è un «uomo schivo», scrive Gad Lerner nella prefazione, non c’è retorica né pereppeppé nel suo racconto di educazione politica: nonostante i successi l’uomo di sinistra «sempre e per sempre» si dichiara «esperto in sconfitte, in partenze e ripartenze che si rivelano al dunque false partenze». Ciononostante il libro riconcilia il lettore con la politica perché ignora lo storytelling e ne racconta le ragioni vere, concrete. Quelle per esempio, del giovane sindacalista che affronta il grande Trentin e gli spiega che perdere si può, «ma devo dimostrare ai lavoratori che la lotta conviene anche quando si perde».

Su certi frangenti (le rotture del Prc) il racconto si fa veloce. Ma la storia è scritta con l’urgenza di parlare all’oggi: come si fa a ricostruire una sinistra che difenda il campo frantumato del lavoro in assenza di classi dirigenti capaci di dare una risposta politica alla crisi? Arrese in difesa, incapaci di immaginare una politica industriale, rassegnate alla fine del lavoro? Ferrara si chiede se c’è «un patto possibile di una riscossa» fra sinistra e Italia, «di una rinascita che possono sottoscrivere fra loro, nel tempo in cui la crisi dell’una è riflessa in quella dell’altra».
Oggi nel pieno della campagna elettorale, il sospetto è che a sinistra persino la domanda sia ignorata a vantaggio di questioni di minor cabotaggio. E allora un manuale così può essere utile per il dopo, quando potrebbero tornare indispensabili i ricostruttori, capaci di rimettere al loro posto i fondamentali, di porsi le domande giuste che – come sanno i cronisti – è la condizione essenziale per sperare in risposte utili se non intelligenti.