Il convegno di Milano di Sel (Human factor 25 gennaio)ha posto con forza la questione di quale sinistra abbiamo bisogno. Analogamente le tormentate vicende interne al Pd pongono lo stesso problema. Ma è soprattutto la schizofrenia tra il concetto di sinistra e le politiche neoliberali di certa sinistra al governo, non solo a palazzo Chigi ma anche nelle regioni, che rende inevitabile la questione. Un pamphlet di Franco Cassano (“Senza il vento della storia, la sinistra nell’era del cambiamento 2014) affronta il problema in modo esortativo «la sinistra deve ….», in modo lineare deducendola dai vari mutamenti in essere «siccome c’è la crisi….allora la sinistra dovrebbe» e concedendo qualcosa al pensiero neoliberale per esempio la «rinegoziazione dei diritti».
Ma questo modo di ragionare assume la sinistra come se fosse una trivial machine e definisce le cose da fare, cioè il bricolage, senza prima definire ontologicamente come deve essere chi le fa vale a dire il bricoleur , ma soprattutto ignora che la rinegoziazione dei diritti è ormai una pratica corrente i cui esiti sono politiche di compatibilità contro i diritti.
La sinistra quale “atto auspicabile” a mio parere non è desumibile linearmente dai mutamenti in corso, essi devono prima di trasformarsi in atti, passare per una reinterpretazione dell’agente, quindi della sinistra. Se è vero come ci ricorda Deleuze che l’evento non è ciò che accade ma è in ciò che accade.. la sinistra non può essere istruibile semplicemente dalle cose che accadono.
Ma come fare tutto ciò? Se il bricoleur è strategicamente inadeguato nei confronti dei pericoli neoliberali a quali condizioni sufficienti esso può essere adeguato? Cioè per riprendere il quesito posto da Vendola quale sinistra per quale politica?
La mia risposta è che, realisticamente, l’unico bricoleur in grado di contrastare le così dette politiche neoliberali è la sinistra che c’è, ma a due condizioni: che la si riusi in modo diverso dal passato, cioè come diceva Bertalanffy, l’autore della teoria generale dei sistemi, a condizione di impugnare il bastone, lo stesso bastone da un’altra parte; che l’uso diverso di se produca un cambiamento della proposta. Non ci possiamo permettere né il lusso di rispondere all’attacco neoliberista in atto con delle future rifondazioni, né di essere indulgenti nei confronti delle politiche neoliberali. Per cui non posso fare altro che riusare “ora” la sinistra esistente in un nuovo sistema di relazioni con il mondo per esprimere un’altra politica. Come? Costruendo alleanze (convenzioni di punti di vista), su scopi riformatori e allargherei il più possibile il campo della razionalità, cioè cercherei nuovi apporti culturali per nuove soluzioni.
La sinistra non è in grado di controproporre qualcosa di diverso da quello che ha sempre proposto sino ad ora sia perché è quella che è, sia perché non riesce ad essere altro. Un esempio. All’idea neoliberista di compatibilità di Cassano andrebbe contrapposta una contro-idea “neo welfarista”. Da «i diritti si devono adattare alle risorse», teoria della compatibilità, si passa ai «diritti sono compossibili con le risorse a condizione di…». Due cose in relazione (ad esempio diritti e risorse) sono compossibili se tra di loro non vi sono contraddizioni.
In sanità, ad esempio, molte sono le contraddizioni che creano spesa: il malgoverno, gli sprechi e il malaffare, modelli vecchi di servizi, professioni pietrificate in definizioni burocratiche, contratti inadeguati, prassi invarianti ecc. La compossibilità risponde alle politiche neoliberali con politiche di riforma, tutte quelle utili a rimuovere delle contraddizioni e quindi i loro costi sociali ed economici. Sono politiche che alla sinistra mancano del tutto.
Nell’epilogo al suo libro Cassano reintroduce la vecchia categoria di «blocco sociale» che da una parte sembra qualcosa per tenere insieme le ragioni dei diritti e quelle dell’economia, quindi una stiva promiscua, dall’altra un posto di blocco messo di traverso su una strada. Oggi (non la faccio lunga) nel mio mondo questa idea, per ragioni storiche e contingenti, è improponibile. Le politiche compatibiliste fatte in tutti questi anni è come se avessero tolto ad una melagranata la buccia facendo disperdere tutti i chicchi che vi erano dentro. E poi in sanità il rischio di controriforma non è in una norma, in una politica, in un luogo, ma è diffuso in mille norme, politiche, luoghi
La controriforma non è altro che l’effetto cumulato da tante piccole controriforme in modo diffuso e proteiforme. Ciò di cui invece senz’altro abbiamo bisogno è di un “blocco storico” ma nel senso proposto prima da Sorel, e poi da Gramsci (Q.4, n.15) quindi come coscienza degli uomini dei «nessi necessari» che correlano «superstruttura con la struttura». Si tratta quindi di lavorare sulle coscienze per organizzare coscienze come la sinistra non fa più .
Riassumo il mio ragionamento ma facendo il percorso all’inverso: per rispondere al “compatibilismo” liberista che per ragioni economiche vuole rinegoziare i diritti, cioè controriformarli, abbiamo necessità di prendere coscienza delle correlazioni che esistono tra diritti e risorse per definire proposte di compossibilità, cioè di riforma volte a liberare risorse rimuovendo le loro contraddizioni, si tratta quindi di usarci come sinistra per quello che siamo ma in modo diverso….con scopi non liberisti ma neowelfaristi.