L’editoriale di domenica “Ci siamo” ha sollevato molte domande nella comunità del manifesto. Norma Rangeri risponde a lettrici e lettori.

Non mi fido

Cara Rangeri, ti ho letto e ti confesso che francamente per tornare ad entusiasmarmi ed a impegnarmi non ritengo sufficiente quanto emerso sabato. Non ce la faccio a piangere sul centrosinistra perso e a fidarmi di dirigenti di associazioni sindacati e partiti che nel concreto non si mettono mai in gioco. Voglio dire che la mia personale cartina di tornasole sulla credibilità delle proposte che ascolto è oggi la disponibilità, che invece riscontro nei militanti con cui parlo, a fondare nuove organizzazioni, a lasciare le rendite di posizione e a dar vita a nuovi soggetti, magari senza i vizi di democrazia di quelli del ’900. Non mi bastano gli ennesimi propositi di cartelli e coalizioni ed alleanze in cui ognuno ha sempre pronto il ritorno alla propria parrocchia, della quale si lamenta ma che mai abbandona. Ripartire davvero, basta suggestioni.
Giovanni Giardina Firenze

Senza Prc non ci sto

Da sempre lettore del manifesto, un tempo anche diffusore domenicale, spesso non mi ritrovo in sintonia con quanto scritto sul giornale, mi arrabbio, poi continuo a comperarlo, anche perché è rimasto l’unico strumento di informazione-formazione di sinistra. Lodevole l’impegno del manifesto per la costruzione della lista Tsipras alle europee, si doveva e si deve proseguire da quell’importante e non scontato risultato per lavorare alla costruzione di «una sinistra più forte, più radicata nel territorio, più socialmente utile» come sostiene sul manifesto Norma Rangeri domenica 5 ottobre. Vendola, Landini, Civati sono persone rispettabilissime, ma non si costruirà una vera sinistra di alternativa senza i compagni e le compagne del partito della rifondazione comunista. Si devono sciogliere le ambiguità, non è possibile, nel breve periodo, sperare in un cambio di rotta della politica del Pd, Renzi è disposto ad avere un partito senza più iscritti, come un partito americano, un comitato elettorale, senza base sociale, un partito che mette in discussione seriamente la Costituzione, le istanze elettive, il diritto al lavoro, le conquiste dei lavoratori. Sempre di più il programma renziano assomiglia a quello di Licio Gelli, allora è giusto lavorare per una forte sinistra che sappia contrastare tutto questo, che sappia organizzare i lavoratori e i giovani disoccupati, serve un’altra sinistra per un’Italia dei diritti e del lavoro, ma senza la passione, l’impegno, delle migliaia di militanti comunisti questa sinistra non ha alcun futuro. Il Manifesto lavori per contribuire la costruzione di momenti di confronto, di iniziativa, di lotta comune di una sinistra plurale, noi ci saremo.
Beppe Bettenzoli segretario circolo Prc di Crema

Il Pd è da tempo liberista

Carissima direttrice, come sempre molto stimolante e ricco di spunti di riflessione e mobilitazione il tuo bell’editoriale sul giornale di domenica. Condivido quasi tutta la Tua argomentazione, in particolare laddove affermi che «… se siamo ancora una esigua minoranza, più come rappresentanza politica che nella società italiana, non è per colpa di Berlusconi il problema siamo noi, sempre divisi, sempre convinti di avere la verità in tasca». Verissimo, e tanto più vero quando il più potente avversario con il quale si viene a confronto non è più un centrodestra cialtrone, ma un partito che nel senso comune viene ancora, in qualche maniera, percepito come «sinistra». Il problema principale sta proprio qui. La sinistra che ha convocato la manifestazione del «patto degli Apostoli» di sabato scorso è quella che ancora crede (spera) di dover e poter giocare nell’alleanza con quel Pd il proprio ruolo di motore che sposterà a sinistra le attuali (ma le cui radici – attenzione – nascono ben prima del renzismo!…) tendenze del fu centrosinistra. Legittimo. Ma altrettanto legittimo è, stando ai fatti, alle persone, alle affermazioni e ai disegni di Renzi e dei suoi sostenitori (numerosi! Sono diventati renziani accaniti anche molti suoi ex avversari) affermare che va costruito qualcosa di alternativo, non solo a Renzi, ma a tutta l’elaborazione teorica e pratica, che (da Veltroni in poi) ha portato il Pd a sposare sempre più convintamente le posizioni e le strategie di fondo del neoliberismo. In Emilia Romagna, per via delle elezioni regionali anticipate, toccherà all’«Altra Emilia Romagna» fare da apripista delle possibilità, per la sinistra di alternativa, di radicare sui territori e nelle assemblee regionali le proprie rappresentanze. Ebbene, l’«Altra Emilia Romagna» non potrà presentarsi tout court come la riproposizione sul territorio della (ex) Lista Tsipras, perchè una delle sue gambe (Sel regionale) ha deciso di allearsi e di entrare in coalizione con il Pd, quel Pd che a livello nazionale ed europeo è stato duramente contestato, e che – in più – nelle primarie regionali non ha nominato candidato governatore quel prof. Balzani, che rappresentava, pur fra mille contraddizioni, il tentativo di rinascita di un’anima popolare e civica del Pd, ma l’ultrarenziano Bonacini, che porta avanti discorsi preoccupanti sull’ambiente, sulle privatizzazioni, sullo stato sociale. Ebbene, coloro che – stando così le cose – hanno deciso di andare avanti e di presentare comunque le liste dell’«Altra Emilia Romagna», alternative al Pd, come proposta di (ri)costruzione di un’altra strategia politica, non solo elettorale, sono stati bollati (quale fantasia…) di «settarismo». Mi chiedo: quelle/quei compagne/i dell’area di Sel, persone stimatissime, che nelle riunioni hanno più volte detto di non voler votare il loro partito se fosse stata scelta l’alleanza con il Pd, non hanno da far sentire la loro voce, magari al di fuori di ristrette riunioni ? Grazie al Manifesto per voler ospitare e approfondire questo dibattito.
Pippo Tadolini Ravenna

Due domande sul Pd

Caro Manifesto, mi piacciono gli ultimi due articoli di Norma Rangeri, e vorrei dire qualcosa che però non quadra, e che non ha quadrato in questi anni provocando ed accumulando sconfitte su sconfitte. Norma scrive che bisogna costruire a sinistra del Pd una forza di sinistra (scusate il bisticcio) capace di ecc, ecc… Ecco, io credo che occorra dire fin da subito che il Pd non è una forza di sinistra, nè riformista, tanto meno altro. Se non si è d’accordo su questo non ci può essere prospettiva comune perché si hanno idee confuse e diverse su cosa è sinistra, e diventa tutto un imbroglio fin dall’inizio. Iniziamo a farci delle domande: la sinistra vuole le guerre? Il Pd le ha fatte e votate tutte, prima ancora di Renzi ed insieme ad altre «sinistre» (tanto per dirne una). La sinistra è razzista? il Pd lo è, ha voluto l’orrore più disumano (la Turco-Napolitano), che ora chiamano Cie, e poi tutti i disastri (che peraltro loro rivendicano, ma si fa finta di nulla) sulle leggi sul lavoro. La sinistra vuole le privatizzazioni? Il Pd le vuole e alla grande. Il sostegno ad Israele è di sinistra? il PD lo cerca, lo nutre, lo sbandiera. Ecco, ha perfettamente ragione Norma quando scrive che per stare assieme occorra perdere un pezzetto della propria sovranità, ma se non ci sono dei minimi principi uguali come si fa a stare assieme? perchè gli altri dovrebbero dare fiducia se si è sostanzialmente uguali? Altra cosa che apprezzo di Norma è quando dice che a sinistra si ha bisogno di sincerità e franchezza. Appunto e allora abbiamo il coraggio e la franchezza che una sinistra vera la si può raggiungere se i politicanti che hanno girato attorno ad ogni poltrona in questi anni facciano un passo indietro. Io capisco che loro facciano fatica a farlo, ma dobbiamo pretenderlo noi, altrimenti nessuno crederà a nemmeno una sillaba detta o scritta, anche se le intenzioni son buone. A Milano, dove vivo, ci sono personaggi che sono dentro le istituzioni da decenni…. quando li vedo mi sembrano mummie che camminano..quale credibilità possono avere per una vera sinistra? Cambiare vuol dire cambiare. Mi piace quando Norma scrive che son necessarie sincerità e franchezza.
Francesco Giordano

La risposta di Norma Rangeri

Voglio innanzitutto ringraziare le lettrici e i lettori che stanno scrivendo al giornale per discutere come affrontare la situazione politica, come continuare il nostro comune cammino. Dimostrano che c’è voglia di confrontarsi, di trovare un punto di incontro.

La fase che stiamo attraversando è completamente nuova perché abbiamo di fronte un Pd con una poderosa forza elettorale e una sinistra di alternativa ridotta al lumicino, con un rapporto di 40 a 4 se dobbiamo stare ai risultati elettorali europei (pur considerando la sproporzione delle forze mediatiche messe in campo, come ho cercato di indicare nelle considerazioni di domenica scorsa sul «manifesto»).

Quando parlo della necessità di mettere le carte in tavola con franchezza mi riferisco non solo all’area nella quale noi ci muoviamo, ma anche a quella parte del Pd che può essere interlocutrice del cambiamento. Non certo a chi, come scrive Francesco Giordano da Milano, «ha girato attorno a ogni poltrona in questi anni», per esempio a quel Pd milanese governato da Penati, uno che certamente non passava lì per caso.
Quando parlo di una «sinistra plurale» evidentemente mi rivolgo anche «alla passione e all’impegno», come scrive Beppe Bettenzoli da Crema, di Rifondazione comunista e al suo contributo per la riuscita della Lista per l’Altra Europa. Nella sinistra plurale ci sono i centri sociali, le centinaia di associazioni sparse nel paese, le persone che hanno difficoltà a reimpegnarsi. Ma non credo, a proposito di franchezza, che possano dare un grande contributo «i duri e puri» con la verità in tasca, perché altrimenti cade tutto il discorso sul bisogno vitale di rimettere in discussione ciascuno le proprie certezze. Per esempio non c’è una «linea nazionale» che può dire ai territori con chi devono allearsi nelle elezioni locali.

Il territorio è il territorio direbbe Gertrude Stein.

Ha ragione Giovanni Giardina, riesumare vecchi cartelli non serve. Serve, invece, mettere insieme una coalizione sociale che rompa gli steccati e moltiplichi le forze.

Quanto è avvenuto negli ultimi anni, e quanto continuerà ad accadere, non potrà essere attraversato scavando un sentiero lineare perché viviamo in un mondo pieno di contraddizioni, di aggrovigliati nodi sociali e politici che non si lasciano tagliare con la spada, che non consentono di stilare la lista dei buoni e dei cattivi, che ci obbligano a muoverci dentro queste contraddizioni con intelligenza e lucidità.
Trovare le cose che dividono è facile, ci vuole un minuto. Difficile è cercare quel che unisce perché bisogna aguzzare bene la vista e fuggire la pigrizia intellettuale. Meno sacchetti di sabbia a proteggere il fortino e più incursioni da guastatori in territorio avverso.

Certamente vanno tenuti fermi alcuni valori. Come la dignità del lavoro, le libertà e i diritti, personali e collettivi, l’allargamento degli spazi di democrazia nella società e nelle istituzioni. La discussione è appena cominciata. Il «manifesto» è il luogo aperto dove proseguirla.

Norma Rangeri