«La diseguaglianza è stata una scelta. A partire dagli anni 70 un’ondata di scelte ideologiche e decisioni istituzionali e legislative ha riconfigurato il mercato». Sono queste le prime parole di Rewriting the rules, rapporto pubblicato dalla Roosevelt Institution, frutto di un lavoro coordinato da Joseph Stiglitz a cui hanno contribuito centinaia di economisti americani. Se per 30 anni si è evitato di guardare alla crescita della povertà e delle diseguaglianze, a partire dal 2008, le statistiche come quelle relative alla ricchezza mediana ferma a 30 anni fa o a salari minimi che non crescono da 45 anni, si sono fatte largo nel dibattito politico istituzionale.

Rewriting the rules prova a essere una road map per la sinistra liberal americana partendo da un assunto: per far funzionare l’economia, ridurre le diseguaglianze e restituire certezze alla colossale e indebolita middle class americana occorre riscrivere le regole del capitalismo contemporaneo. Se molte delle idee contenute nelle 115 pagine le conosciamo – salario minimo, infrastrutture, regole per le banche e la finanza – la novità sta nella mancanza di timidezza.

Per dirla con Felicia Wong, presidente della Roosevelt Institution: «Nessuna misura singola ridurrà le diseguaglianze, risolverà i problemi della nostra economia o restituirà centralità alla middle class». Il volume è stato presentato il 12 maggio e la presenza tra i relatori della senatrice Warren e del sindaco di New York, Bill De Blasio, ci dice che l’ala sinistra del partito democratico è all’offensiva.

La lunga rivolta di Ferguson, i riot di Baltimora e altri episodi simili hanno riportato sulla scena la questione della discriminazione negli Stati uniti.

Gli afroamericani sono in grande maggioranza una fetta dei poveri d’America. I casi di morti ammazzati per eccesso di uso della forza, stavolta, non sono stati trattati come singoli episodi, errori del poliziotto di turno. Il tema non è solo quello di modificare l’operato della polizia ma di ricostruire il tessuto urbano di centri abbandonati.

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La stagnazione dei salari – e l’erosione delle pensioni integrative avvenuta con il crollo delle borse del 2008 – ha reso più vulnerabile e preoccupata anche la media America bianca. Tecnologia e globalizzazione hanno prodotto grandi ricchezze e mantenuto la primazia degli Stati uniti, ma la platea di posizioni buone aperte dal fiorire di start-up tecnologiche, urbane e cool non ha rimpiazzato i posti di lavoro persi nel manufatturiero. Infine, il boom dell’occupazione: lavori qualificati e ben pagati per i quali è richiesta una formazione costosa e (molto di più) lavori dequalificati, privi di tutele e pagati male.

La crescente visibilità di questi temi crea uno spazio formidabile per quella sinistra che da anni lavora con costanza a campagne di grande forza come quella per l’aumento della paga minima oraria – che sta producendo risultati tangibili. Ultima in ordine di tempo c’è la discussione sul congedo per maternità, un diritto la cui assenza rischia di far precipitare in povertà chi decide di avere dei figli.

Hillary Clinton, un marito campione di lotta al crimine e deregolamentazione dei mercati finanziari, ha già preso le distanze dal suo passato da first lady parlando della necessità di dire addio all’era delle incarcerazioni di massa e lanciando la sua campagna riferendosi ai troppi che non ce la fanno. L’ex senatrice sa riconoscere che le scelte fatte negli anni 90 erano dentro al solco tracciato da Reagan e Thatcher e che nel 2008 quel modello ha mostrato i suoi limiti strutturali. Il mondo è cambiato e Clinton lo registra.

Qui in Italia, specie dopo la sconfitta del Labour di Miliband, nessuno sembra ricordare questi aspetti: se Bill e Tony hanno vinto, vanno bene, qualsiasi cosa abbiano fatto. Conta la politica, non le policies. L’offensiva liberal si colloca dentro a questo universo in movimento.

Il contesto è tale che facendo pesare le mobilitazioni e la produzione di contenuti autorevoli come Rewriting the rules, la sinistra può influenzare la corsa alla Casa Bianca.

«Investivamo in scuole pubbliche, abbiamo mandato i veterani all’università, costruivamo infrastrutture e investivamo in ricerca: lavoravamo i campi in maniera che ciascuno di noi, non solo qualcuno, potesse piantare semi e vederli crescere» ha detto la senatrice Warren durante la presentazione del rapporto.

Uno sforzo collettivo per il benessere di tutti e ciascuno. Un modello imperfetto, ma più giusto ed efficace di quello in cui viviamo. Le istituzioni elettive possono fare qualcosa per demolire la vetusta architettura reaganiana. Se solo vogliono provare a farlo. Negli Stati uniti, in Europa e in Italia.