Singapore Sling al Raffles Hotel e poi Indonesia
Indonesia La cucina indonesiana comincia per strada: i piatti sono tantissimi come le molte declinazioni regionali
Indonesia La cucina indonesiana comincia per strada: i piatti sono tantissimi come le molte declinazioni regionali
Dopo tre mesi di viaggio in mezzo all’arcipelago indonesiano eravamo approdati a Singapore per questioni di visto. In viaggio di solito i problemi sono quattro: l’orario di partenza, mangiare, dormire e avere il passaporto in regola.
E Singapore, oltre alle visite quotidiane all’ambasciata indonesiana, offriva da dormire a prezzi tutto sommato ragionevoli ma soprattutto una gamma alimentare infinita, economicissima, culturalmente interessante e raffinata. Abitata soprattutto da tre comunità – cinesi, malesi e indiani – a Singapore potevi e puoi trovare il meglio delle tre grandi cucine dell’Asia: quella cinese su tutte, l’indiana nella sua declinazione meridionale e l’indonesiana che non ha lo stesso numero di avventori (250 milioni contro i miliardi di Cina e India) ma si difende.
Inoltre Singapore ha prodotto anche un ibrido sinomalese: la cucina Nyonya o Peranakan, che si dice sia stata elaborato dai primi cinesi arrivati nella penisola malese e lì convolati a nozze miste con le beltà locali, maschi o femmine che fossero.
Affascinato da queste mirabolanti avventure culinarie, il viaggiatore non smette mai di stupirsi: non solo per cultura gastronomica, varietà e pulizia ma anche perché la birra è diffusissima e di qualità (scura e chiara) interessante. Per chi poi abbia voglia di un salasso di sapore coloniale c’è naturalmente il Raffles Hotel, dove non solo si può bere languidamente un Singapore Sling – il cocktail creato nel 1915 dal barman dell’albergo, signor Ngiam Tong Boon – ma si può ordinare una bottiglia di Chablis, un Chianti riserva o un Bordeaux per innaffiare un filet au poivre o piatti vegetariani che non mancano mai in questi posti sempre alla page dove di stonato c’è solo il conto.
All’epoca della colonia – il Raffles, intitolato al fondatore della città del leone, ha aperto i battenti nel 1887 – si beveva in realtà il whisky setengah, anche questo un ibrido sia nel nome (setengah in malese significa «mezzo») sia nel cocktail, formato da una parte di whisky (british o locale) e acqua, una tradizione che ormai si va perdendo. Ma erano e sono le ultime scorribande alcooliche.
Prima di tornare nel Paese musulmano più popoloso del mondo devi sapere che la luna di miele col grado alcoolico sta per finire e che Singapore, dopo la rigida Malaysia, è l’ultimo avamposto di un costume cui noi italiani siamo affezionati.
La cucina in Indonesia comincia in strada, come avviene in Asia per tutte le altre (un tempo anche in Italia dove oggi, se va bene, c’è solo un furgone con porchetta e prezzi spesso da Raffles Hotel). Ci si può accontentare di un bakso – una minestra con vermicelli e palle di carne – o dei meravigliosi satay (spiedini) conditi da una salsa di arachidi e l’immancabile sambal (miscela piccante ma a volte anche agrodolce) o ci si può sedere nella miriadi di ristorantini che affollano anche la più piccola cittadina dell’arcipelago delle 13mila isole.
Con un sondaggio sul web la Cnn ha registrato le preferenze di 35mila votanti che hanno piazzato tre piatti indonesiani nella top dei 50 migliori al mondo. Dei gusti americani non c’è troppo da fidarsi (basti il fatto che per l’Italia si piazzano la pizza, il Parma e i… tagliolini all’Alfredo, un piatto dei primi del ‘900 ma diventato un cult negli anni Sessanta): piatti indonesiani ce ne sono altrettanti che in compenso si guadagnano il 14mo posto (satay) il secondo (nasi goreng) e…il primo (rendang). A essere molto onesti, e di italico palato, è difficile dare alla cucina indonesiana la palma della migliore del mondo o anche solo dell’Asia. I piatti però sono tantissimi e le declinazioni regionali altrettante con qualche propensione a un’igiene non sempre perfetta.
Il piatto nazionale resta il nasi goreng, un riso fritto che appare, non meno di altre pietanze, una scelta locale fortemente influenzata dalla cucina cinese. Lo stesso vale per i mie, vermicelli di vario tipo e anche quelli assimilabili a una cultura culinaria che dalla Cina all’Indonesia, passando per Vietnam e Thailandia, è una costante dell’alimentazione nord e sudorientale. Ma va anche registrata una sorta di differenza geoculturale che divide l’arcipelago in due, al di là del fatto che esista una tendenza ormai diffusa alla globalizzazione delle pietanze (dagli hamburger alla diffusione nazionale di cibi di una certa località come, per venire all’Italia, nel caso degli spaghetti: sino agli anni Cinquanta diffusi solo nel Belpaese centro meridionale). Si potrebbe dire che al di là di Bali e delle prime isole della Sonda, la cultura del riso e dei vermicelli di riso o cereali viene sostituita da quella del tubero o della pasta del sago, una palma di cui si mangia il midollo. Anche il companatico cambia: pollo, anatra con i più rari ovini caprini e bovini contro, arrivando nelle Molucche, la carne di canguro ad esempio, che in certe isole orientali si accompagna al pesce.
I tabù alimentari sono rari a parte il divieto sulla carne di maiale che però non è dilarang – vietata – nelle comunità cristiane. Stesso discorso per la birra – tollerata ma non sempre disponibile – o certi fermentati di riso o di altre sostanze utilizzati nei cerimoniali non islamici.
In tanti luoghi si può anche patire la fame perché in molte case indonesiane si mangia a volte solo riso con sambal e forse un piccolo pesce fritto o una coscetta di qualche pollo striminzito, accoppato magari perché siete ospiti. Se viaggiare è sperimentare gusti e sapori, in Indonesia c’è solo da curiosare, provare e stupirsi. Buona idea, se possibile, farsi invitare in una casa privata, possibilmente giavanese. Mangerete cose che al ristorante non si vedono e che vi farebbero ricredere sul fatto che la cucina di questo arcipelago abbia pochi piatti.
Ricordatevi solo di non usare mai la mano sinistra a tavola, una cosa che, se conoscete l’Asia, sapete già. E sapete anche perché senza bisogno del suggeritore. Selamat makan! Buon appetito.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento