Non parla di dialogo con lo spazio, l’artista inglese Ceal Floyer (è nata in Pakistan nel 1968, vive e lavora a Berlino): per lei si tratta di uno scontro. Il Museion di Bolzano, dove già nel 2005 aveva partecipato alla collettiva Light Lab, in occasione di questa sua personale curata da Letizia Ragaglia (fino al 4 maggio) è un territorio in cui entrano in gioco tensioni diverse. Vince chi è più allenato mentalmente. Ecco perché nulla deve essere dato per scontato. «Nella produzione di Ceal Floyer è assente il senso di sublime. Quindi non ci sono illusioni, né metafisica. È tutto molto basilare. Non ci sono significati nascosti, ma è tutto trasparente. Il lavoro è così sottile che, proprio per questo, diventa più forte», spiega la direttrice del museo e curatrice della mostra.

A cominciare da Blick, l’installazione site-specific realizzata sulla grande vetrata della facciata utilizzando tanti triangoli adesivi trasparenti, di quelli impiegati per fermare le fotografie sulle pagine degli album. Leggerezza e ironia si fanno strada sottovoce nella poetica dell’assurdo. Ma «non è un’ironia didattica», mette subito in guardia l’artista, che nel 2009 ha vinto il Nam June Paik Award e nel 2007 il Preis der Nationalgalerie für junge Kunst e tra le partecipazioni internazionali annovera la 53/ma edizione della Biennale di Venezia e Documenta 13.

Gli oggetti del quotidiano attraggono l’attenzione di Floyer: che sia una cassa acustica vista in un bar che le ricorda un gradino (così nasce Scale, installazione realizzata con 24 casse acustiche montate a parete da cui proviene il suono di passi); delle schede di classificazione (Order) tutte allineate così da annullare la separazione alfabetica, inscenando un totale disordine; un bicchiere d’acqua mezzo vuoto (Half empty) e un altro mezzo pieno (Half full); una goccia d’acqua apparentemente immobile (Drop); una lampadina che una fonte di luce proietta al contrario sulla parete (Overhead projection); il segno rosso sul pavimento (Meeting Point).

A un primo sguardo sembra tutto platealmente semplice, ma solo in un secondo momento ci si rende conto che esistono altri livelli di lettura. «Bisogna vedere con il cervello e pensare con gli occhi», afferma Floyer ammettendo anche di divertirsi molto quando lavora. «I momenti più belli? Sono quando mi accorgo che il mio lavoro funziona poeticamente, allora mi vengono le farfalle nella pancia. I momenti deboli, invece, sono quando noto che l’opera esce fuori così come l’ho pensata…». E aggiunge: «Mi piace vedere il lavoro crearsi, non me che creo l’opera».