Il nuovo film di Bertrand Bonello è un ufo atterrato sulla selezione Encounters (Incontri) della Berlinale. Porta séco un messaggio ravvicinato del terzo tipo: esiste una «cosa» venuta dallo spazio, se la guardi ti viene voglia di toccarla. Non si sa bene cosa sia, questa cosa. Può prendere una forma e oppure un’altra. Attenzione ad avvicinarsi, potrebbe piacervi. Qualcuno, in mancanza d’un nome più preciso, la chiama cinema. Coma è stato girato in soli 12 giorni, per lo più a casa del regista. Ma la sua lavorazione va ben al di là delle riprese. Andiamo con ordine. All’inizio della pandemia, la fondazione Prada ha chiesto ad alcuni cineasti, tra cui Bertrand Bonello, di confezionare dei corti senza girare nuove immagini, utilizzando solo materiale d’archivio. Il risultato è visibile sul sito della fondazione. Il corto di Bonello, che si chiama Où en êtes vous ? (Numero 2), riprende alcune scene finali del suo precedente lungometraggio Nocturama in cui, una banda di giovani concepisce e mette in opera un attentato dinamitardo. Immagini alle quali il regista ha aggiunto un testo, una lettera rivolta alla figlia che ormai ha raggiunto l’età dei personaggi fittizi di quel film.

FINITO IL CORTO, ma non la pandemia, Bonello ha deciso di prolungare l’esercizio con un lungometraggio che poi è diventato Coma. Un archivio di Gilles Deleuze – di cui vediamo un estratto all’inizio del film – gli ha dato l’idea guida. Si tratta di una conferenza su Vincente Minnelli nel quale il filosofo discute una massima morale dal tono oracolare: «mai entrare nel sogno dell’altro; neanche se quest’altro ha le sembianze di una bella fanciulla». Il film Coma prende quest’imperativo alla lettera, ma lo inverte. Tutto il film è un tentativo di entrare nell’immaginario d’una ragazza di oggi che, stesa sul letto, fantastica, ascolta della musica, chatta con delle amiche. Il letto diventa allora una sorta di zattera, sulla quale questa naufraga del presente erra senza meta. Coma ha in primo luogo l’andamento ludico di chi ha trovato un gioco e si diverte a giocarlo.

ENTRANDO NEI sogni della ragazza (senza nome, interpretata da Louise Labeque, già in Zombie Child), Bonello crea una serie di microcosmi, tra questi: una sorta di soap opera politica con delle barbie in stop motion; una foresta proibita nel quale entra come uno stalker; un canale youtube dove un guru di nome Patricia Coma (Julia Faure) dispensa delle ricette di filosofia tascabile, preceduti da inquietanti bollettini di metereologia dell’antropocene («51 gradi a Camper, 70 a Nizza, ma tanto che differenza fa, visto che dovete comunque stare tutti chiusi in casa ?»). Patricia vende un gadget mnemonico esortando i suoi abbonati a giocarci, infine a pensarlo come una sorta di esperienza esistenziale sul libero arbitrio. Il gioco ha quattro bottoni che si colorano designando una sequenza che il giocatore deve ripetere, sequenze che diventano sempre più complesse, ma che, anche volendo, non si possono sbagliare. Il gioco è ovviamente il film stesso, che utilizza le proprie scenette come fossero le tessere di un grande collage, disegnando con la loro disposizione un quadro più ampio.
Coma avrebbe potuto essere un’insalata russa. È al contrario un film costruito con una cura maniacale, strutturato come una partitura musicale. Il mosaico finale è altrettanto visivo che sonoro. Bonello, che è anche compositore delle musiche originali, si è divertito a doppiare le animazioni con le voci di Louis Garrel, Laetitia Casta, Anaïs Demoustier, Vincent Lacoste, e del recentemente scomparso Gaspard Ulliel. Nonché con la propria stessa voce, distorta, scomposta e ricomposta.

IL RISULTATO è il lento spostarsi del punto di riferimento al mondo ordinario o la sua sostituzione con quello che fino a poco tempo prima poteva apparire eccezionale o transitorio ma al quale ci abituiamo rapidamente. L’unica tessera del film girata in maniera naturalistica è quella della ragazza sul letto. Ma quest’immagine è poco più che un solipsismo. Mentre tutto il resto potrebbe essere l’opera d’un diavoletto di Cartesio.
Ora, Bonello non è nuovo alla creazione di mondi all’interno di altri mondi, o di castelli isolati, in cui i protagonisti capitano quasi per caso e nei quali si lasciano ammaliare dal delirio dei propri ospiti. Era così il racconto surreale di De la guerre. Ma anche quello più realistico dell’Apollonide o di Saint Laurent. In Coma, quello che è cambiato non è tanto Bonello quanto il mondo. È il mondo ad essersi bonellizzato, ad aver annullato la propria differenza con l’universo creativo bonelliano. Il regista ne prende atto, e si mette ad esplorarlo, scoprendo con paura e sgomento che i suoi incubi e le sue inquietudini fanno oramai tutt’uno con la realtà, ma non potendosi astenere dal trovarla appassionante.