U n doppio ko in Toscana in poco più di un mese. Altre diserzioni sparse per l’Italia. E ora anche la «trivellazione» da Sud che bersaglia il governo.
Il Pd versione Matteo Renzi comincia ad assomigliare troppo alla «ditta» precedente. Soprattutto in periferia, che però era la stessa dell’onda trionfale nelle Europee e del riformismo nuovo, giovane e smart.
È recentissima la clamorosa bocciatura di Sara Biagiotti, sindaca ultra-renziana di Sesto Fiorentino, prima donna presidente di Anci Toscana, coordinatrice nella campagna delle primarie 2012. Sfiduciata da 20 consiglieri (8 Pd «ribelli», 4 Sel, 1 M5S, 2 Fi, 1 misto) con appena cinque fedelissimi. Biagiotti al capolinea prima del termine naturale è davvero una bruttissima notizia. Era una delletre primedonne di Matteo, all’inizio dell’avventura, con Maria Elena Boschi e Simona Bonafè.
Fa il paio con il tonfo elettorale di Arezzo a metà giugno: Matteo Bracciali, 31enne, prototipo non solo anagrafico del renzismo amministrativo: dal 2011 capogruppo Pd in Comune, presidente nazionale dei Giovani Acli, battuto per 608 voti nel ballottaggio, gettando alle ortiche un migliaio di voti rispetto al primo turno in cui aveva nove punti di vantaggio…
Giubilato malamente anche un altra punta di diamante della «rottamazione locale». A San Giovanni Lupatoto (Verona) il sindaco Federico Vantini – classe 1978, laurea in architettura al Politecnico di Milano – aveva vinto le elezioni a giugno 2012, espugnando un feudo leghista. Membro della direzione nazionale Pd, alle Europee aveva collezionato 41 mila preferenze in Veneto alle spalle di Alessandra Moretti e Flavio Zanonato. Ma è decaduto: nove consiglieri si sono dimessi contemporaneamente, azzerando la maggioranza di centrosinistra. E il quotidiano L’Arena ha connesso le polemiche politiche con il blitz della Guardia di finanza nella società che commercializza il metano: irregolarità amministrative per spese di rapprentanza, pubblicità e sponsorizzazioni.
Da Molfetta, invece, rimbalza un’altra voce di esplicito dissenso. Paola Natalicchio, eletta sindaco due anni fa, venerdì scorso ha messo sul tavolo le dimissioni. Suonano come una drastica presa di distanza dal Pd, che contratta poltrone e alleanze snaturando la coalizione «dal basso» che aveva conquistato il municipio. E Natalicchio rincara la dose: parla di «rappresaglia» del Pd; bolla il governatore Emiliano come «non abbastanza incisivo»; evidenzia il caso Molfetta direttamente a Debora Serracchiani, vice di Renzi.

È già un bel ginepraio. Ma dal Sud si moltiplicano le prese di posizione contro il premier-segretario. In gioco, le trivelle a caccia di petrolio che mobilitano le piazze. Così perfino il neo-governatore della Campania Vincenzo De Luca e il super-renziano Marcello Pittella in Basilicata fanno rullare i tamburi di guerra. Il primo, ad Acerra, ha esplicitamente scandito la sua contrarietà alle trivellazioni. L’altro si è «convertito» fino a partecipare il 15 luglio alla manifestazione a Policoro al fianco del pugliese Emiliano e del calabrese Mario Oliverio. Fischi e urla durante gli interventi dei tre governatori. Vincenzo Folino, deputato autosospeso e «civatiano» di Lucania, è più che pronto a sostenere il referendum popolare.
Insomma, Renzi sembra aver perso il controllo. Ma conta sul reset della riforma istituzionale per dribblare gli annunciati ricorsi alla Corte costituzionale sulle trivellazioni in Adriatico. Né si preoccupa delle ricadute sui municipi della manovra fiscale.