«Le forze di sicurezza hanno costretto mia madre, mia nonna e mio fratello a uscire di casa. Poi hanno dato fuoco alla casa». È la testimonianza di un residente di Rafah, lato egiziano, a Human Rights Watch, che in un rapporto pubblicato ieri dà il quadro di una campagna di demolizioni senza precedenti nell’estremo oriente della Penisola del Sinai.

Gli ultimi numeri sono spaventosi, intere comunità rase al suolo. Il Cairo sta costruendo dal novembre 2014 una barriera con la Striscia di Gaza contro la presunta infiltrazione di combattenti di Hamas: 14 km di lunghezza, 500 metri di profondità, è già costata lo sfollamento di migliaia di egiziani e la distruzione di un migliaio di tunnel, fondamentali a portare a Gaza sotto assedio israeliano beni di prima necessità, carburante e cemento.

Ora i lavori per la barriera proseguono anche grazie al silenzio che avvolge l’operazione “Sinai 2018”, lanciata dal governo egiziano il 9 febbraio scorso. Da allora sono stati distrutti centinaia di ettari di campi coltivati e sono state demolite almeno 3mila strutture, tra case e negozi. A gennaio ne erano state demolite 600. Tra luglio 2013 e agosto 2015 i bulldozer governativi ne avevano distrutte 3.250. Non solo Rafah (che ormai quasi non esiste più, molti dei suoi 70mila abitanti sfollati nel resto del Sinai), ma anche al-Arish.

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