A Tokyo, oltre alla pioggia torrenziale prodotta dalla tempesta tropicale c’è anche l’inattesa caduta delle stelle. Dopo Naomi Osaka, la numero due del tennis mondiale e ultima tedofora nella cerimonia di apertura, c’è stato il passo falso di Simone Biles, forse l’atleta più famosa dell’edizione delle Olimpiadi nipponiche.

È STATA solo qualche minuto in pedana la statunitense, nella prova a squadre di ginnastica artistica. Poi, il ritiro, l’abbandono alla gara: problemi fisici, secondo lo staff medico statunitense, ma poi la ginnasta ha confessato: «Non mi sono infortunata, è una ferita al mio orgoglio, devo concentrarmi sulla mia salute mentale, dobbiamo proteggere la nostra mente e il nostro corpo, non sentirci obbligati a uscire e fare ciò che il mondo vuole che facciamo». Qualche ora prima sul suo profilo Instagram la fuoriclasse americana aveva chiaramente fatto accenno al peso del risultato da centrare a ogni costo. Insomma, un cedimento mentale, l’addio all’Olimpiade della conferma dello status di leggenda, dopo i quattro ori a Rio de Janeiro 2016. La crisi di Simone Biles ricorda, con percorsi differenti, anche la sconfitta di Naomi Osaka dinanzi al pubblico di casa.

Altra fuoriclasse schiava delle pressioni, la tennista nipponica si è ritirata a maggio dal Roland Garros, raccontando alla stampa della depressione maturata tre anni prima, allo US Open, che l’ha portata a indossare le cuffie durante la partita, per non ascoltare i commenti del pubblico. Ma nell’insuccesso della Biles c’è traccia anche del passo indietro di Benedetta Pilato, neppure sedicenne, un titolo di campione del mondo, fuori nelle batterie dei 100 metri rana. Già designata erede di Federica Pellegrini, che a sedici anni ad Atene 2004 chiarì allo sport che il suo nome e cognome sarebbe finito tra gli immortali, Benedetta non ha retto.

LA SUA MANCATA induce a un’analisi sul medagliere dell’Italia, che colleziona medaglie (12), tra queste il fantastico bronzo di giornata nel judo, lo sport nazionale nipponico, della molisana Maria Centracchio, assieme agli argenti nei pesi (Bordignon) e della scherma (spada femminile a squadre). Ma il saldo sui risultati azzurri non è positivo. Un solo oro dopo quattro giorni di gare. Forse ha portato poco a casa (almeno per ora) la stessa scherma, solitamente serbatoio inesauribile, anche nel nuoto qualche figura di punta (in attesa del risultato notturno della Pellegrini nella finale dei 200 stile libero) è venuta meno. A Rio de Janeiro 2016, gli ori erano tre in altrettante giornate di gara, a Londra 2012 invece due. È concreto il rischio di finire fuori dalla top ten del medagliere dopo sette edizioni dei Giochi. Certo, è l’Olimpiade, le sorprese sono sempre dietro l’angolo, così come la genesi di stelle nascoste, protagonisti chiamati a un giorno da re, ma l’Italia non ha in faretra troppi assi dalla medaglia assicurata.
Forse, Filippo Ganna nella cronometro individuale su strada, dove è il favorito per l’oro, forse la nazionale di volley femminile, trascinata da Paola Egonu, portabandiera nella cerimonia di apertura.

E lo sarebbe stato anche Gregorio Paltrinieri, asso degli 800 e 1500 metri, sicuro medagliato con chance di oro, ma indebolito dalla mononucleosi a poche settimane dal via dei Giochi. Il rischio è ripetere l’exploit in negativo di Barcellona 1992, con sei ori (e 19 medaglie), mentre le stime del Coni erano sugli otto ori (come nelle ultime tre edizioni delle Olimpiadi), ipotesi ormai irraggiungibile: tra gli azzurri non ci sono totem che regalano medaglie in serie come Michael Phelps, otto ori a Pechino 2008.