La ragazza ha coraggio. Perché se è anche vero che Simona Molinari, due Sanremo alle spalle tanta gavetta, molti jazz club, il genere lo bazzica da tempo, ma misurarsi con il repertorio degli standard, è impresa da far tremare i polsi. Casa mia – titolo italiano per un disco composto da dieci classici come A Tisket a Tasket, la filastrocca anni ’40 diventata un must del repertorio di Ella Fitzgerald, o Smoke gets in your eyes dalla penna di Jerome Kern, hit dei Platters «ma io amo maggiormente la versione di Dinah Washington», spiega, sembra una scelta un po’ controcorrente.

«Ma non è così – spiega la giovane cantante napoletana – sono brani dalla freschezza incredibile che puoi prendere e rimodellare, ma la melodia resta sempre irresistibile». Si può però obiettare che a questo repertorio, di solito, un artista arriva nella cosiddetta piena maturità: «Guarda, se uno aspetta di essere pronto per interpretare evergreen, non lo farà mai. Io ho voluto incidere questi pezzi per farli conoscere ai ragazzi. Se aspetto di avere cinquant’anni, non avrebbe più alcun senso».

Casa mia nasce sull’onda di una tourneé Loving Ella, un concerto tributo che si articola in un viaggio narrativo dedicato all fuoriclasse americana, con cui Simona Molinari ha girato l’Italia la scorsa primavera: «Quando la Warner mi ha dato carta bianca, ho pensato la scaletta proprio attingendo dal songbook della Fitzgerald. Poi gli altri brani li ho scelti per la forza della loro melodia senza tempo». Un album registrato live con il suo trio Mosca jazz band: «abbiamo sovrapposto poi la mia voce e gli archi della Roma Sinfonietta». Un’orchestra sinfonica al posto di una big band?: «Proprio per sottolineare un aggancio con l’Italia, la nostra eccellenza sono le orchestre sinfoniche e mi è sembrato giusto fare questa scelta».

Voce elegante, senza essere mai invadente, Simona ha duettato in passato con Ornella Vanoni collaborando nel 2011 con Peter Cincotti. Cosa significa misurarsi con altri colleghi? «Moltissimo, ti permette una maggiore apertura mentale. A Peter ho fatto conoscere l’electro swing, una realtà europea, e ne è rimasto piacevolmente sorpreso. Ecco, da noi c’è la tendenza a ragionare per categorie e invece la musica ha bisogno di spazi. Non c’è bisogno di stabilire cos’è il jazz, il rock, il funk. Scrivi una canzone e il metro di valutazione resta sempre e solo quello della qualità».