«Sta sotto un treno»: chi ha avuto modo di sentire Berlusconi dopo la batosta, sintetizza così lo stato d’animo del capo. Cupo. Depresso. Indeciso. L’ex cavaliere non si aspettava numeri così ridotti: considerava il 18% la vera linea del Piave. Soprattutto non si aspettava il plebiscito a favore del «simpatico» fiorentino, e ora, con quel ciclopico 40% del Pd di fronte, non sa più come muoversi. Il sogno di entrare nella maggioranza e nel governo è svanito: Renzi ha già fatto sapere che non se ne parla nemmeno. Restare nella posizione ambigua che ha finito di logorare il già provatissimo partito azzurro è la soluzione peggiore: però rischia di essere anche l’unica possibile. In caso contrario il trionfatore minaccia di imporre subito elezioni politiche che per Arcore sarebbero esiziali e andare a vedere se bluffa o no potrebe costare carissimo.
La situazione è difficilissima, ma qualcosa bisogna pur dire. Berlusconi affida il suo messaggio a una nota ufficiale, nella quale quel che non viene detto è più importante delle banalità enunciate. «Sincere congratulazioni» per il pargolo, il cui «grande successo personale» è stato però «favorito da circostanze irripetibili». Il risultato di Fi è stato «inferiore alle attese», ma gli azzurri si confermano «perno del centrodestra» nonché «partner decisivi per le riforme», senza i quali «non ci sono i numeri». La linea resterà quella di una «opposizione intransigente ma responsabile». Strategia che perde non si cambia. Infine un’allusione al proprio ruolo: «Ho iniziato il mio impegno in politica per unire i moderati: intendo mantenerlo».
Non una parola su eventuali successioni. Neanche una sillaba per reclamare quella modifica delle riforme alla quale aveva più volte fatto cenno in campagna elettorale. Raffaele Fitto, anzi, chiarisce che quello delle riforme «condivise» è «un percorso da mantenere». Su nessuno dei due punti interrogativi determinati dall’esito del voto, la leadership di Fi e la posizione del partito sulle riforme, Berlusconi pare aver nulla da dire. Forse è solo frastornato dalla batosta e ritroverà la favella domani, quando si svolgerà a Roma la riunione dei vertici azzurri. O forse, più probabilmente, non c’è nulla da dire e tutto continuerà, sia pur obtorto collo, come prima.
Sul fronte della successione, l’arrivo di Marina al posto di papà pare rinviato sine die, e forse addirittura all’infinito. E’ lei a non sentirsela, e forzarle la mano più che tanto non si può. Senza di lei trovare un rimpiazzo è impresa ardua, perché la rivalità tra i capibastone è acerrima e prima di scegliere bisognerebbe quadrare il cerchio tra linee politiche opposte. Fitto, che il trono continua a sognarlo, insiste. Chiede che il prossimo leader sia scelto con le primarie, come successore del monarca vede benissimo se stesso. Ma Berlusconi a farsi da parte non sembra pensarci per niente, tanto più con un partito diviso in fazioni che se non si odiano poco ci manca e che solo lui, o forse qualcuno di tanto vicino a lui come una figlia, può tenere insieme.
Del resto, è proprio sulle riforme che le due anime azzurre sono già ai ferri corti. «Con questo risultato non si può fare altro che passare a una vera opposizione e far saltare tutto, a partire dall’Italicum», argomentano i duri. «Con questi risultati bisogna più che mai difendere l’Italicum, visto che come centrodestra siamo al 31% e possiamo giocarcela», ribattono i verdiniani. Verdini medesimo, a porte chiuse, è più esplicito: «Deboli come siamo l’Italicum ci conviene». La scelta, tanto per cambiare, toccherà al capo. Ma che Berlusconi osi sfidare Renzi, correndo il rischio mortale di elezioni di qui a pochi mesi, è ben poco probabile.
Qualche problema in più, apparentemente, potrebbero crearlo a Renzi gli alleati dell’Ncd. Usciti malissimo dalla prova elettorale, ieri hanno alzato la voce. «Renzi deve capire che il governo non è un moncolore Pd», tuona l’ex delfino, e Schifani duetta: «Da domani rivendicheremo l’identità di centrodestra al governo». Quando ai fratelli coltelli di Fi, Alfano è perentorio: «Devono capire che il mondo è cambiato. Quando succederà ci facciano uno squillo». Il ruggito del topo.