La candidatura c’è. Il candidato ancora no. Sembra un gioco di parole invece è l’esito bizantino del minuetto antichissimo nel quale si destreggia il centrodestra. Dopo due ore e mezzo spese addentando manicaretti e parlando di Quirinale i leader convenuti a Villa Grande diramano il loro comunicato. Convengono che il Cavaliere sia «la figura più adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica». Lo pregano pertanto di «sciogliere in senso favorevole la riserva sin qui mantenuta». Insomma Silvio Berlusconi, dopo aver deciso da solo di candidarsi, chiede agli alleati, che avrebbero di gran lunga preferito non candidarlo, di invocarlo affinché si candidi. La politica italiana è sempre impagabile. Silvio gradisce l’invito ma non scioglie. Dovrebbe decidere entro giovedì, in tempo perché la destra, ove mai Berlusconi preferisse evitare la sconfitta in campo aperto, s’inventi un piano B che tutti citano ma che al momento non esiste. Fino a quel momento un «comitato permanente» terrà d’occhio il pallottoliere minuto per minuto.

È BERLUSCONI IN PERSONA, naturalmente a chiedere di essere designato: «Non esiste che io mi autocandidi. Ma sia chiaro che se non foste tutti d’accordo o se dovessi scoprire che i numeri non ci sono sarei il primo a farmi indietro. Non mi vado certo a sfracellare». Quei numeri sono il tormentone del gioioso pranzo. Gianni Letta insiste amichevole: «Sei sicuro?». Salvini si è documentato. Squaderna le cifre e i tempi delle precedenti elezioni, chiede rassicurazioni. I numeri, per ora, non ci sono: sarebbero 480 voti più 13 meno certi ma senza tenere conto degli inevitabili franchi tiratori. Però manca ancora una settimana e in sette giorni chissà. Tutti d’accordo per andare avanti: i generalissimi della Lega e di Fdi, il coraggioso italiano Brugnaro, l’eterno Gianni Letta, reduce da un’incursione mattutina a palazzo Chigi dove però non ha incontrato Draghi, Cesa, Lupi, La Russa. Con un’opportuna specifica: «Se non passi però non esiste che sia tu a indicare un candidato. Lo si sceglie tutti insieme».

LA DECISIONE È DELICATA. Se l’ex sovrano della destra si espone e finisce impallinato la destra manca il colpo e si spalancano le porte per un’ipotesi unitaria che difficilmente avrebbe fattezze diverse da quelle di Mario Draghi. A palazzo Chigi la cerchia ristretta del premier lo sa e si frega le mani: se il Cavaliere galoppa e sbatte, le porte del Colle sono schiuse. Se invece il passo indietro arriva la settimana prossima l’onere della prima proposta spetta alla destra e sarebbe un bel guaio. In fondo se i leader si sono piegati così facilmente alla decisione solitaria del temerario d’Arcore è proprio perché Berlusconi gli ha risolto un rovello. Non sono stati in grado neppure di scegliere candidati unitari credibili nelle grandi città, figurarsi la tragedia a dover indicare un capo dello Stato capace di tenere insieme tutti.

IN REALTÀ UN SOLO nome risponde alla bisogna, quello del fondatore della moderna destra italiana. Se cade quello è notte fonda senza stelle. Tanto più che non sarebbe neppure da prendere in considerazione l’idea di un Berlusconi in formato minore, cioè di un altro candidato sfacciatamente «di parte» però un po’ meno indigeribile. La proposta a quel punto dovrebbe avere serie possibilità di essere accettata dalla controparte e non è che figure del genere a destra proprio pullulino. Dunque anche in caso di ritiro prematuro non è affatto escluso che la destra scelga di giocare la carta del candidato unitario, intestandosi il merito di aver risolto la situazione.

IL QUADRO GIÀ CONFUSO rischia di essere reso ancor più nebbioso dalla probabile scelta del Pd, dei 5 Stelle e di LeU di non partecipare alla quarta votazione se Berlusconi sarà in campo. Gli ex renziani del Pd non concordano, hanno già comunicato a Letta la decisione di votare comunque ma a tutt’oggi il mini Aventino resta l’opzione più probabile, avendo i leader paura di possibili defezioni a favore del Cavaliere. Lo sgarbo sarebbe però troppo clamoroso per restare senza conseguenze. Prima di tutto a quel punto Berlusconi insisterebbe probabilmente per restare in campo non per una sola votazione. In secondo luogo, dopo una lacerazione del genere la soluzione unitaria diventerebbe molto più difficile anche senza più l’ostacolo Silvio.

AL MOMENTO del dessert Giorgia Meloni aggiunge un ingrediente meno quirinalizio ma per lei determinante: chiede il pronunciamento a favore del maggioritario. Brugnaro si smarca affermando di non disporre di un mandato in merito e La Russa s’imbizzarrisce ma alla fine il comunicato che impegna la destra «a non modificare la legge elettorale in senso proporzionale» esce senza la sua firma.

Errata Corrige

La destra si riunisce a villa Grande e indica il suo «patriota» per il Quirinale: il padrone di casa, Berlusconi. Il prescelto scioglierà la «riserva» entro giovedì. Nel frattempo il pallottoliere sarà in azione, ma manca per ora il famoso piano B. Pd e 5 Stelle: «Candidatura irricevibile»