Silvia Costanza Romano, volontaria italiana dell’associazione Africa Milele, rapita la sera del 20 novembre nella cittadina di Chakama, sarebbe viva secondo quanto dichiarato da Noah Mwivanda, comandante della polizia della regione costiera del Kenya.

Le prove in mano alla polizia consisterebbero nelle impronte digitali della giovane trovate nella foresta e nelle intercettazioni telefoniche che, secondo Mwivanda, «ci fanno pensare che sia ancora in vita. Ma lo dico anche secondo logica: non possono liberarsi adesso dell’ostaggio, per loro sarebbe la fine». La zona viene setacciata con persone, cani, droni ed elicotteri: un’area circoscritta dalla quale due dei cinque sospetti rapitori si sarebbero allontanati, sempre secondo il capo della polizia, e «i tre rimasti, se non avessero la ragazza con loro, avrebbero seguito strade diverse».

I cinque si sarebbero mossi su due moto (tre per moto inclusa la ragazza) e poi, non si sa per quale motivo, separati. Informazioni preziose sarebbero state rivelate dai 17 arrestati nei giorni precedenti che avrebbero messo gli inquirenti sulla «pista giusta».

Tanto preziose da portare all’identificazione di alcuni dei sospetti. I ricercati sono Ibrahim Adan Omar, Yusuf Kuno Adan e Said Adan Abdi. Quest’ultimo avrebbe affittato nei giorni precedenti al rapimento una stanza a venti metri dall’abitazione della giovane volontaria per monitorarne i movimenti e tutti è tre sarebbero stati a Chakama la sera del rapimento.

Sui rapitori la polizia ha messo una taglia di un milione di scellini (circa 9mila euro, una fortuna in una zona dove chi lavora guadagna, se va bene, 100 euro al mese) per chiunque fornisca informazioni utili alla cattura: nel cartello appaiono la foto del rapitore, un numero di telefono e la scritta usinyamaze («Sei finito»). Nel comunicato vengono menzionate anche le due motociclette che si sospetta «siano state utilizzate come mezzo di fuga» dopo il rapimento di Silvia.

Le moto sarebbero state acquistate in un negozio di Malindi (sulla Jamhuri Road) da Moses Suleiman Mbogo e Joseph Bakuna Kasungu ai quali viene chiesto di presentarsi immediatamente nel più vicino commissariato di polizia.

Diversamente da quanto espresso dal governatore della zona Kingi, secondo il quale si sarebbe trattato di un atto del gruppo islamista Al Shabaab, il capo della polizia ha dichiarato che «per quanto riguarda il movente non sappiamo ancora nulla, ma siamo propensi a escludere un atto terroristico». «È gente a caccia di soldi», aggiunge Mwivanda, secondo dui è chiara anche la direzione presa dai rapitori, la foresta di Hola. Ma l’area di ricerca è molto ampia: oltre 40mila chilometri quadrati (come le aree di Lombardia e Veneto insieme).

Eppure i giornalisti che in questi giorni hanno percorso più volte la strada che da Malindi porta a Chakama non hanno incontrato nessun posto di blocco. L’ottimismo dei giorni precedenti lascia spazio alla prudenza, all’appello ai capi locali, alla taglia. Una prudenza a cui si aggiunge l’ipotesi che i tre rapitori abbiamo smesso di scappare e siano in attesa del loro «cacciatore».

Se gli orma tra i quali sarebbero nascosti i rapitori collaboreranno, un po’ di capacità negoziale potrebbe risolvere la situazione. «Puoi nasconderti alla polizia, ma non alla tua gente», dice un vecchio missionario. Ma il fattore tempo, nei casi di rapimento, è una variabile che non può aspettare.