«Tutti quelli che amano l’Azzurro Scipioni devono fare in modo che questa esperienza non si interrompa», dice Silvano Agosti, regista e fondatore della storica sala romana, nel quartiere Prati, nata nel 1982 e che ha chiuso definitivamente le saracinesche pochi giorni fa, con un «funerale laico» in cui Agosti ha distribuito i suoi libri e dvd agli amanti del cinema passati a «salutare» l’Azzurro Scipioni. Quando raggiungiamo Agosti al telefono stanno proprio per venir portate via le poltroncine blu che lo scorso dicembre aveva messo in vendita con un post su Facebook, annunciando l’imminente chiusura dello storico locale in Via degli Scipioni 82.

A QUELL’APPELLO aveva risposto l’assessore alla cultura e vicesindaco Luca Bergamo: «Aveva ottenuto che il comune pagasse l’affitto», racconta Agosti. «Ma poi il giorno dopo lui non c’era più» – la sindaca Raggi lo ha infatti sostituito lo scorso gennaio con Lorenza Fruci. Se durante il lockdown della scorsa primavera, e la prima chiusura dei luoghi della cultura, gli affitti erano stati sospesi – e l’Azzurro Scipioni era stato sostenuto anche con un crowdfunding – con il Dpcm del 24 ottobre Agosti ha dovuto continuare nonostante tutto a pagare l’affitto dei locali: «Per legge bisognava comunque pagare – ma sono nove mesi che è proibito proiettare. Devo pagare senza incassare neanche un euro. Cos’è questo se non una specie di omicidio economico?».

E l’aiuto non è arrivato neanche dai ristori: «Siamo un’associazione culturale e non abbiamo tutti i dati burocratici necessari per poter ricevere i ristori: ad esempio quelli sui biglietti cartacei perché non ne avevamo – andavamo a offerta».

Ma non per questo Silvano Agosti ha intenzione di abbandonare il progetto culturale che per quarant’anni è stato portato avanti nelle sale Chaplin e Lumiere: «Aspetto con ansia che dal comune, o anche qualche altra figura, mi offrano un altro posto qui a Prati: non capisco perché si debba negare agli abitanti del quartiere l’attività culturale alla quale in tanti sono fedeli da anni». Serve qualcuno, continua, «che sappia quante decine di locali sono abbandonati, e vuoti: solo qui vicino a me ci sono tre caserme chiuse, sigillate da trent’anni. Potevano essere attrezzate come luoghi di intrattenimento, o per somministrare i vaccini, e invece non succede niente».

L’ANNO PROSSIMO l’Azzurro Scipioni avrebbe festeggiato i suoi quaranta anni: la sua storia comincia nel 1982, all’indomani della presentazione in concorso alla Mostra di Venezia del Pianeta azzurro di Franco Piavoli, prodotto dallo stesso Agosti e che nessuna sala voleva proiettare. Lo farà per mesi il neonato Azzurro Scipioni che da quel film, e dalla via in cui si trova, prende il suo nome. Da allora in cartellone c’è sempre stato il cinema d’autore, da quello più recente ai classici del passato che in tanti hanno potuto vedere sul grande schermo proprio grazia alla sala romana. «Un’idea che mi ha premiato – osserva Agosti – perché poi negli anni le persone sono rimaste fedeli alle idee che propongo».

Contro la chiusura dell’Azzurro Scipioni si sono levate in queste settimane molte voci, dall’Anac a Rifondazione comunista con un j’accuse rivolto alle istituzioni: «Chiude perché né il Comune di Roma, né la Regione Lazio, né tantomeno il ministro ’della cultura’ Franceschini hanno ritenuto di dover intervenire – come è loro dovere – per proteggere un luogo della cultura patrimonio della città».

E lo stesso Agosti osserva che «la frase più ripetuta è stata ’che peccato’. Ma nessuno dentro il comune ha sostenuto l’importanza di intervenire. C’è qualcosa di cinico e involontariamente crudele nel fatto che tutti dicano che è un peccato e nessuno faccia nulla». Così come è crudele, aggiunge, «dover smontare pezzo per pezzo tutto quello che ho portato e costruito in questi anni con infinito amore – doverlo distruggere io stesso».

IN ATTESA che qualcuno risponda concretamente all’appello di Agosti per trovare un nuovo locale che accolga l’Azzurro Scipioni, è in corso un altro crowdfunding: stavolta per finanziare un documentario che racconti i 40 anni di attività del cinema che al suo interno ha ospitato nomi come Bernardo Bertolucci, Ennio Morricone – e generazioni di cinefili «formatisi» nelle sue sale dedicate al cinema d’autore.