Silicon Valley cede dunque alle pressioni di Donald Trump e fa sua la logica dell’emergenza nazionale e indossa la mimetica per andare alla guerra commerciale con la Cina. Finora non c’è nulla di ufficiale. Solo uno scarno comunicato di Google dove annuncia che sta adeguando la sua strategia alla decisione della Casa Bianca di imporre l’interruzione di ogni collaborazione economica tra le imprese made in Usa e il colosso delle telecomunicazioni cinesi Huawei. Sta di fatto che la società di Larry Page e Sergej Brin è intenzionata a non concedere la licenza d’uso e gli aggiornamenti del sistema operativo Android all’impresa cinese.

Eguale decisioni di non collaborazione stanno per essere prese da altre società hi-tech americane, come Intel, Qualcomm e Broadcom che non venderanno più i loro microprocessori a Huawei.

Possono apparire decisioni di routine per adeguarsi a una disposizione ministeriale, ma segna invece un cambiamento radicale nell’operato delle imprese hi-tech. Per la prima volta, in maniera eclatante, emerge l’applicazione del patto di collaborazione alla base di quel complesso militare digitale che svolge un ruolo sempre più rilevante nello sviluppo del capitalismo delle piattaforme.

Gran parte delle imprese della Silicon Valley partecipa infatti a progetti sull’intelligenza artificiale e sulla gestione dei droni finanziati dal Pentagono; oppure operano fianco a fianco con la National Security Agency nel monitorare la Rete. L’anno scorso clamore fece la lettera aperta sottoscritta da 3000 ingegneri e softweristi di Google che chiedevano a Larry Page e Sergej Brin di sfilarsi da Project Maven del Pentagono.

La società di Mountain View rispose con un comunicato che ribadiva la vocazione pacifica della società, segnalando che il progetto del Pentagono non poteva essere considerato un progetto militarista, ma aveva solo a che con lo sviluppo di un software open source che utilizza tecniche dell’intelligenza artificiale.

Con la decisione di non concedere a Huawei la licenza di Android, Google si toglie certo un sassolino dalla scarpa nei suoi rapporti non pacifici con Pechino. Dopo anni di limitazioni sulla sua presenza economica in Cina, si prende infatti una piccola rivincita: questa volta tocca a Huawei rinunciare al sistema operativo – Android – più usato nei telefoni cellulari di ultima generazione. Una decisione che danneggia la società cinese, perché non ha ancora un suo sistema operivo.

Certo, nei mesi passati Huawei ha annunciato che lo sviluppo di un proprio sistema operativo era un obiettivo strategico, ma i tempi che si era data per elaborarlo – due, tre anni – devono ridursi drasticamente se l’impresa vuol mantenere il proposito scalzare Samsung dal podio dei telefoni cellulari dopo che ha doppiato in vendite gli iPhone della Apple.

La mancanza di un sistema operativo vuol dire non accedere alle app messe a punto dalle decine di imprese che producono applicazioni compatibili con Android. Vuol dire cioè essere messa fuori dalla costellazione di un ambiente economico che produce montagne di profitti e «genera» montagne di Big Data. Huawei sa benissimo che l’autarchia significa condannarsi all’irrilevanza economica.

Dunque un danno ingente, di gran lunga superiore a quello della mancata vendita di microprocessori da parte di Intel, Qualcomm e Broadcom. Su questo, Huawei è in vantaggio. E dalla fine del 2018, all’annucio della produzione di un microprocessore – il Kirin 980, prodotto dalla società di proprietà di Huawei HiSilicon – considerato di gran lunga migliore di quelli in circolazione. Ed è forse questo uno degli obiettivi di Donald Trump.

Non è certo la prima volta che l’hi-tech collabora con il Pentagono. Anzi storicamente la rivoluzione del silicio è stata preparata con i finanziamenti del Pentagono. Ma la politica di potenza degli Usa prevedeva maglie larghe per l’operato delle imprese hi-tech. L’esistenza di un complesso militare digitale è inoltre all’opera da anni, come testimonia la vicenda che ha visto protagonisti Edward Snowden e Chelsea Manning nel rendere pubblica l’attiva collaborazione di imprese digitali con Nsa e Pentagono. Ma finora i campi della collaborazione erano delimitati alle operazioni di intelligence.

Con la decisione di Google, Intel, Qualcomm e Broadcom c’è un salto in avanti. Silicon Valley fa propria la logica dell’emergenza nazionale, favorendo così una militarizzazione della ricerca scientifica e la produzione hi-tech. Dopo la mimetica l’elmetto è così calzato bene per la legione di Silicon Valley che va, in ordine sparso, ma convinta alla guerra commerciale proclamata a colpi di tweet da Donald Trump.