«Non abbiamo assolutamente nulla da dire, operiamo con serenità e impegno ed andiamo avanti nella nostra attività». E’ di poche parole la risposta dei magistrati di Bologna a Tayyip Erdogan. Il presidente turco, in un’intervista concessa ieri a Rai News 24, aveva puntato il dito contro l’inchiesta per riciclaggio aperta dai pm bolognesi a inizio anno nei confronti del suo terzogenito, Bilal Erdogan. Le indagini sul figlio, aveva detto Erdogan padre di fronte alle telecamere, «potrebbero mettere in difficoltà le nostre relazioni con l’Italia». Una frase pesante che ha richiesto l’intervento diretto di Matteo Renzi, costretto a ricordare l’indipendenza della magistratura italiana da qualsiasi potere politico.

L’inchiesta di pm bolognesi nasce da un esposto dell’imprenditore e oppositore politico turco Murat Hakan Uzan. Da anni esule in Francia, Uzan ha accusato Bilal di avere portato in Italia a settembre 2015 «una grossa somma di denaro» in un periodo politicamente difficile per il padre. Si parla di decine e decine di milioni di euro. Soldi che per gli oppositori del presidente turco sarebbero direttamente collegati alla cosiddetta «tangentopoli del Bosforo» del 2013, quando inchieste e arresti fecero traballare il governo Erdogan e, si disse all’epoca, furono a un passo dall’arrivare direttamente alla famiglia del presidente, Bilal compreso. In quel periodo fu anche diffusa una presunta intercettazione in cui Erdogan padre, preoccupato dalle indagini, chiamava al telefono il terzogenito chiedendogli di «fare sparire» decine di milioni di euro. Un audio falsificato diffuso dagli «oppositori golpisti» dell’ex alleato Fethullah Gülen (oggi rifugiato Usa e accusato di avere fomentato il fallito colpo di stato dei militari del 15 luglio), fu la difesa del presidente turco. Poi funzionari di polizia e giudici furono rimossi, e l’inchiesta del 2013 finì lì.
Con l’esposto, l’indagine della procura di Bologna e l’intervista del presidente turco i riflettori si accendono di nuovo su quel periodo, e sui sospetti che da tempo gravano sulla famiglia Erdogan, accusata da Russia e Siria di trafficare petrolio direttamente con l’Isis. Lo stesso Bilal, a Bologna fino a marzo 2016 ufficialmente per completare un dottorato all’università privata John Hopkins, non è solo uno studente: risulta infatti socio della società Bmz Ltd, che si occupa di trasporti marittimi, petrolio incluso. La sua presenza a Bologna, spiegano gli accusatori, sarebbe dunque una sorta di copertura per mettere eventualmente al sicuro la fortuna della famiglia, se le cose in patria fossero precipitate come poi non è avvenuto.

Visto il clamore sollevato dall’intervista di Erdogan le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova ha ricordato come «l’Italia abbia sempre avuto eccellenti rapporti con la Turchia, e ha sempre avuto all’interno della discussione europea sull’ingresso della Turchia o meno, una posizione molto più aperta nei confronti della Turchia fino a tempi recentissimi. Anche per questa ragione, l’intervento e le parole durissime usate dal presidente Erdogan di recente sono totalmente fuori luogo». «Gravissime le parole di Erdogan sulla magistratura bolognese, condite dal pregiudizio e dal totale spregio per il principio della separazione dei poteri, che sta alla base di ogni ordinamento democratico degno di questo nome», ha detto l’eurodeputata di Possibile Elly Schlein.
«Il mio assistito – ha invece dichiarato l’avvocato di Bilal Giovanni Trombini – si ritiene estraneo a qualsiasi voglia ipotesi delittuosa: ogni sua attività economica e finanziaria è assolutamente trasparente e legale».