Potrebbe essere una cena di Natale come tante altre. Una coppia sposata e con tre figli si prepara per attendere l’arrivo, nella loro villa con giardino nella campagna inglese, di altre coppie. Donne e uomini che hanno superato i trent’anni e che da giovani erano stati compagni di scuola (come si vede anche da una foto di gruppo del tempo). Nell e Simon sono i padroni di casa. Sandra e Tony si presentano con la figlia Kitty. Bella e Alex vivono con passione il loro amore lesbico. James e Sophie sono in attesa del primo figlio. Tutti stanno per celebrare un evento pari a nessun altro perché quella sarà non solo la loro ultima cena insieme, quello sarà anche l’ultimo giorno delle loro vite. Si sono dati appuntamento per morire. La ri-unione e il suicidio collettivo sono i due pre-testi alla base di Silent Night, opera d’esordio della regista inglese Camille Griffin che ha avuto l’anteprima italiana, fuori concorso, alla trentaduesima edizione di Noir in Festival terminata ieri a Milano con la vittoria di Bowling Saturne di Patricia Mazuy, che conquista il Black Panther Award, e il Premio Caligari a Piove di Paolo Strippoli. Menzione speciale a Profeti di Alessio Cremonini.

FILM CORALE quasi interamente girato all’interno della dimora di Nell e Simon (la prima inquadratura è proprio dedicata a un totale del luogo, mentre le successive sono un regalo alla bellezza luminosa di Keira Knightley, nel ruolo di Nell, che si sta truccando allo specchio e il cui volto esprime una felicità venata di tristezza), Silent Night inizia come una commedia nella quale si manifestano i sentimenti «classici» di un raduno di personaggi che si conoscono bene, che hanno condiviso esperienze, amori, passaggi esistenziali, che non si sono persi di vista nonostante ognuno dopo gli studi abbia intrapreso strade diverse. Ma ben presto in quel clima che sembra spensierato, con i bambini vivaci, antipatici e sboccati e con gli adulti che mettono in scena un esuberante gioco delle parti, s’insinua qualcosa di misterioso e poi di sempre più concreta inquietudine. Una minaccia incombe, viene da lontano e sta cancellando l’essere umano dal pianeta. Un gas letale si sta propagando come una nebbia e uccide causando atroci sofferenze al punto che il governo ha distribuito alla popolazione (ma non ai senza tetto e agli immigrati) delle pillole per suicidarsi evitando il dolore. E Silent Night diventa un film apocalittico, sulla fine del mondo, assumendo i toni della commedia nera con epilogo horror. Pregio di un film dallo sguardo abbastanza rigido nel modo di osservare le dinamiche che si creano fra i tanti personaggi e gli ambienti nei quali agiscono, è riuscire a rendere palpabile l’avvicinarsi della morte, la paura che s’impossessa di alcuni di loro, la resistenza a compiere il gesto finale, le reazioni dei corpi dopo avere ingerito la pillola, il senso di paralisi, lo iato tra un respiro che se ne sta andando e il definitivo abbandono del mondo (unica eccezione, uno dei figli di Nell e Simon, contagiato in precedenza e destinato alla mutazione – e come lui forse molti altri che hanno inalato il gas trasformandosi, come si dice in un dialogo, in morti viventi). Camille Griffin dosa bene la crescente tensione, e allora quella certa rigidità formale serve a intrappolare i personaggi in una casa che si trasforma nel loro rifugio estremo, nella loro bara, mentre la foresta è avvolta, anch’essa imprigionata, dalla nuvola tossica che inghiotte quanto la circonda.

È UN FILM cupo e dolente, Silent Night, una riflessione amara sul presente, sul senso di condivisione da spingere fino alla più radicale soluzione, fino a condividere nella morte il letto con la persona o le persone che si amano. Ed è, infine, una tragedia, che si manifesta in tutta la sua potenza.