Oggi in Spagna il movimento femminista celebra una vittoria storica. Per la prima volta nella storia di questo paese, le donne spagnole fermeranno la produzione, smetteranno di svolgere tutte quelle funzioni a cui la società eteropatriarcale le ha relegate come la cura dei figli e delle persone anziane o il lavoro domestico, e bloccheranno il consumo. Il tutto con l’obiettivo di rendere evidente come, per quanto troppo spesso invisibilizzate dal maschilismo di cui è intrisa la società, senza le donne non può funzionare nessun ambito produttivo del paese. E che sono quasi esclusivamente le donne a svolgere tutto quel lavoro non retribuito e fondamentale per ogni famiglia.

Ma se già solo negli ultimi mesi la capacità di coordinarsi del movimento femminista per arrivare fino a qui è stata straordinaria, il risultato «formalmente» più rilevante è che lo sciopero è stato convocato per tutta la giornata da alcuni piccoli sindacati (Cnt, Cgt e Confederación Intersindical) e per 4 ore dai principali sindacati confederali, Ccoo e Ugt. Il che implica che tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori sono liberi di aderire allo sciopero, per tutta la giornata, o al limite solo per qualche ora. Quello di oggi ha tutta l’aria di essere davvero uno sciopero epocale, e molto partecipato.

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Sono mesi che le donne sono riuscite a portare alla ribalta del dibattito pubblico l’annoso tema del divario retributivo fra donne e uomini (in media in Spagna le donne guadagnano il tra il 21 e il 23% meno che gli uomini, tra il 14 e il 17% in meno per ora lavorata), dell’insormontabile tetto di cristallo, che fa sì che praticamente a vertici di nessun ambito (impresa, amministrazione pubblica, università, politica, ricerca, magistratura, sport…) le donne, pur rappresentando più del 50% della popolazione, arrivino ad avere una rappresentazione minimamente degna. Secondo il World Economic Forum, al ritmo attuale di implementazione di politiche per l’uguaglianza, la parità reale di arriverà fra più di cent’anni. E questo nonostante che sulla carta, in Spagna come nel resto d’Europa, le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini.

Certo, il movimento del MeToo dagli Stati Uniti e la Women March hanno dato impulso al vivace movimento femminista spagnolo. Ma essere riuscite a portare al centro del dibattito pubblico la giornata di oggi è un merito di tutte le donne che da anni stanno battendo per l’uguaglianza. La Spagna è stata pioniera in Europa con una legge che, pur con tutti i suoi limiti, ha l’obiettivo di tutelare le donne maltrattate dai loro maltrattatori. L’unico “patto di stato” che il governo è riuscito a strappare alle forze politiche è proprio contro la violenza di genere. Con molte lacune, ma pur sempre una serie di iniziative dove tutte le forze politiche si sono trovate d’accordo su un tema che, tra l’altro, è seguito assiduamente dai media.

La sinistra politica appoggia lo sciopero di oggi – partiti come Podemos, Izquierda Unida e i socialisti hanno al loro interno una forte componente sensibile alle questioni femministe. La destra si è invece trovata spiazzata dal successo che questa iniziativa ha già avuto prima di cominciare, con professioniste di tutti i campi che sono andate rivendicando la propria partecipazione alla giornata di oggi. Inés Arrimadas, l’unica donna con peso politico importante in Ciudadanos – è stata candidata presidente nelle elezioni catalane – ha dovuto arrampicarsi sugli specchi per giustificare il suo disaccordo con lo sciopero dopo essersi lamentata (giustamente) della mancanza di avversarie per tutta la campagna. La ministra della Sanità e Uguaglianza, Dolors Montserrat, è stata smentita dallo stesso presidente del governo dopo aver sostenuto senza imbarazzo che il suo sciopero sarebbe stato «giapponese», lavorando il doppio. E persino il Pp, che pure ha sostenuto che lo sciopero fomenta l’odio e la spaccatura nella società, ha dovuto moderare molto i toni. 

Secondo El Mundo persino la regina Letizia avrebbe svuotato l’agenda per oggi – anche se lei non perderà un giorno di sovvenzione statale.

Anche la polemica sul ruolo degli uomini in questo sciopero così fuori dal comune è stato un successo perché ha costretto tutti, al maschile, a interrogarsi. Fermo restando che il protagonismo deve essere femminile, e che una parte del movimento ha chiesto agli uomini di non scioperare, qual è il modo migliore di appoggiare le richieste delle donne? Risposte: farsi carico dei compiti che normalmente non svolgono; offrirsi volontari nei lavori dove sono previsti servizi minimi; evitare di sostituire le funzioni delle colleghe assenti. E il mondo Lgbt, dove il reparto dei compiti suole essere più equitativo? Riflessioni aperte.

Non tutte le donne però potranno scioperare: per chi ha un lavoro precario, per le lavoratrici domestiche e altri collettivi marginalizzati sarà più difficile farlo. Per questo sono stati previsti gesti simbolici, bandiere viola alla finestra o magliette. E poi ci sono anche collettivi, come Afroféminas (donne nere), che ha deciso di non sostenere lo sciopero per denunciare che il femminismo non è sufficientemente inclusivo. Come ha commentato l’influente bloguera femminista Barbijaputa: «Ci toccherà rimetterci in discussione ancora una volta».