Il film è Ricche e famose, le due amiche che intrecciano lo scorrere degli anni dai tempi del college dividendo sogni, fantasie, dolori, abbandoni, nevrosi, sfuriate, rotture impossibili ma che per loro non sono mai definitive. George Cukor, che ogni giorno riempie la sala della retrospettiva – nessuna replica visto il volume della sua filmografia, peccato però perché magari sfoltendo da qualche altra parte … – aveva scelto Candice Bergen e Jacqueline Bisset, che è arrivata l’altro giorno per ricevere uno dei moltissimi «award» di cui è costellata questa edizione accompagnando la proiezione di Ricche e famose.

Bisset, che è sempre bellissima è una conversatrice affascinante; prossimamente la vedremo nel ruolo di Anne Sinclair, la moglie di Strauss Kahn, nei cui panni si è calato Gerard Depardieu, nel nuovo di film di Abel Ferrara sull’ex presidente del Fondo Monetario Internazionale, travolto dalla denuncia per molestie sessuali da parte della cameriera di un hotel. Intanto la ascoltiamo ripercorrere una carriera che è un’appassionata e personalissima storia del cinema. A scoprirla è stato Polanski, che l’ha voluta ventenne in Cul de Sac , 1966), subito dopo diviene la «ragazza Bond» in 007 Casino Royal, passando a distanza di pochi anni – nel 1973 – davanti alla macchina da presa di Truffaut in Effetto notte. «Ho iniziato la carriera d’attrice perché sul set si mangiava gratis. Non avevo un soldo e girando film avevo vitto e alloggio pagati» , dice Bisset sorridendo, gli occhi chiari dietro agli occhiali scuri. In Ricche e famose interpreta una scrittrice, che dopo l’esordio folgorante si è bloccata. L’amica del cuore, che vive dall’altra parte della costa, nel chiacchiericcio losangelino, sarà invece la prima a diventare «ricca e famosa» (è appunto Candice Bergen) scrivendo anche lei ma best seller zuccherosi e pieni di solitudine.

La chiacchierata si snoda lungo film, registi, aneddoti, storie dentro e fuori il set. Nel film di Cukor, che sarà anche il suo ultimo (1981, Cukor è morto nell’83), rimane memorabile la scena di sesso tra Bisset e lo sconosciuto rimorchiato in volo nella toilette dell’aereo, montata in parallelo all’atterraggio. «Non è stato facile girare con lui, era una persona molto dolce ma sapeva essere anche molto duro, con l’esigenza della ’vecchia scuola’ … Ci chiedeva di essere sempre più veloci, e in alcune scene, specie quelle dei litigi, ricordo che ho fatto molta fatica. Lui mi spingeva ad andare emozionalmente molto oltre ai miei sentimenti, e inoltre il suo stile ti metteva in gioco anche fisicamente, richiedeva un incredibile lavoro sul linguaggio del corpo. Con lui ho capito ancora meglio quanto importanza abbia il corpo per un’attrice. Avere sempre la macchina da presa incollata al naso non permette di esprimere tutto.».

Torniamo agli inizi, a Roman Polanski, quasi un segno del destino visto che da li in poi la carriera di Jacqueline Bisset sarà punteggiata da incontri con grandissimi registi, Cukor e Truffaut, ma anche John Huston, Claude Chabrol, Comencini, Lumet. Lei confida che con i registi uomini si trova meglio che con le registe donne, ma non è solo questione di «bellezza e fascino». «Non è sempre facile per una donna, ma dipende da come ci si pone rispetto al sistema. Nel cinema a volte è anche interessante trovare qualcuno che ti spinga a andare più a fondo …». Polanski, ad esempio. Ride Bisset: «Mi disse che ero troppo grassa per il ruolo, e così mi ha consigliato un medico la cui dieta era a base di 500 calorie al giorno e iniezioni con estratto di mucca incinta. Durante il trattamento ho rischiato di svenire molte volte, ma alla fine ho perso i 5 chili e ottenuto la parte. Roman era un uomo duro e affascinante».

Dall’Europa Bisset approda a Hollywood ma la sua personale storia del cinema continua a portarla spesso dall’altra parte dell’Oceano, in Europa. Ascoltarla narrare col vezzo di una noncuranza piena di umorismo (la natura inglese …) è un vero piacere. Tra gli incontri c’è anche Frank Sinatra col quale lavora in The Detective: «Quel ruolo doveva essere di Mia Farrow, ma lei aveva altri impegni di lavoro e quindi scelsero me. Avevo i capelli corti e la parrucca che mi facevano assomigliare a Mia. Frank per me era una leggenda. L’unico suo difetto era che voleva girare tutto in fretta: al massimo uno o due ciak per scena». E Truffaut? «Se penso che ho rischiato di non farlo Effetto notte … Il mio agente si era dimenticato di dirmelo, assurdo no? Truffaut voleva me perché gli ero piaciuta in La macchia della morte, un film non certo indimenticabile. Sul set lottavo per recitare nel mio francese scolastico, ma lui diceva di non preoccuparmi, il mio personaggio era una straniera … È stata un’esperienza straordinaria».